Vittorio Sgarbi e Sara Cunial portano Giuseppe Conte davanti alla Corte Costituzionale per i Dpcm. E perdono

Vittorio Sgarbi e Sara Cunial hanno portato l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte davanti alla Corte Costituzionale per i decreti legge, i Dpcm e le ordinanze durante l'emergenza coronavirus. La Consulta ha dichiarato inammissibili i loro ricorsi

Vittorio Sgarbi e Sara Cunial portano Giuseppe Conte davanti alla Corte Costituzionale per i Dpcm. E perdono

Vittorio Sgarbi e Sara Cunial hanno portato l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte davanti alla Corte Costituzionale per i decreti legge, i Dpcm e le ordinanze durante l’emergenza coronavirus. La Consulta ha dichiarato inammissibili i loro ricorsi.

Vittorio Sgarbi e Sara Cunial portano Giuseppe Conte davanti alla Corte Costituzionale per i Dpcm. E perdono

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili i conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, anche nella sua qualità di rappresentante del Governo, indicato in epigrafe. La decisione è arrivata ieri. Sgarbi, insieme all’avvocato Alessandro Fusillo, aveva presentato ricorso contro Palazzo Chigi accusandolo di aver espropriato il Parlamento delle sue funzioni nell’emanazione dei Dpcm di contrasto all’emergenza sanitaria.

Ieri le due ordinanze depositate hanno dato torto sia a Sgarbi che a Cunial. Scriva Askanewn che secondo la Consulta “dalla medesima narrativa del ricorso emerge come non sia mancato il confronto parlamentare e come i deputati abbiano avuto la possibilità di esercitare le proprie funzioni costituzionali, nel corso dei ‘passaggi parlamentari’ principalmente in sede di conversione in legge dei decreti-legge indicati in ricorso”. “La lamentata distorsione degli istituti previsti dagli articoli 76 e 77 della Costituzione, conseguente all’asserita ‘espropriazione’ della funzione legislativa nei termini prospettati in ricorso, – scrivono i giudici – sarebbe semmai idonea a menomare, in ipotesi, le attribuzioni dell’intera Camera cui appartiene il deputato ricorrente, posto che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”.

Tra le motivazioni della Corte si legge anche che “in definitiva, è la prospettazione stessa del ricorrente ad attestare l’inesistenza di «violazioni manifeste delle prerogative costituzionali» poste a garanzia dello status dei parlamentari nell’ambito del procedimento legislativo (ordinanza n. 275 del 2019), e in particolare della facoltà, necessaria all’esercizio del libero mandato parlamentare (art. 67 Cost.), di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni esprimendo «opinioni» e «voti» (ai quali si riferisce l’art. 68 Cost., sia pure al diverso fine di individuare l’area della insindacabilità delle funzioni parlamentari)”.

Immagine copertina da Tpi

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