Social, il nostro male necessario. In Beata ignoranza la prova: siamo schiavi del web. E condividere ci fa fuggire dalle responsabilità

La Beata Ignoranza, come il regista Bruno titola il film in uscita domani con Gassmann e Giallini, è lo specchio di una generazione

La domanda di fondo è antica come il mondo: è meglio essere o apparire? Nell’epoca dei social network, della condivisione delle nostre vite in rete, la risposta sembra essere tutta dalla parte dell’immagine che sappiamo dare di noi. E poco importa che sia vera o verosimile. La “Beata Ignoranza”, come il regista Massimiliano Bruno titola il film in uscita domani con Alessandro Gassmann e Marco Giallini, è lo specchio di una generazione capace di vivere una, cento, mille vite su una rete dove tutto può essere vero, ma anche immensamente falso, come sono gran parte delle relazioni virtuali. Una generazione che i non nativi digitali fanno ancora fatica a comprendere. La storia raccontata nel film mette di fronte questi opposti: un insegnante super connesso e un collega che scansa i network digitali come la peste. Dopo forti scontri iniziali, i due si ritrovano per una serie di circostanze a invertire i propri ruoli: il primo deve staccarsi da computer e cellulare mentre il secondo si ritrova a non poterne fare a meno. Viene fuori così una curiosa osservazione della mercificazione della vita, per cui il senso intrinseco delle nostre azioni lascia spazio al loro senso sociale; la ricerca della felicità viene scansata da un’asettica ricerca di approvazione e la soddisfazione non è più legata a un percorso di crescita e sacrificio ma alla percezione che gli altri hanno del nostro successo.

Via dalle relazioni vere – È stato lo stesso regista presentando il film a spiegare la sua necessità di parlare di relazioni vere, ammettendo di essersi sentito “troppo preso dalle sciocchezze online” che gli avevano fatto “perdere interesse per le vere passioni”. Passioni che si perdono nella sconfinata galassia della rete che si regge su un algoritmo specifico per cui si sfugge dalle responsabilità condividendole. Solo così l’uomo giusto non è più quello che ci fa tremare il cuore ma quello che ci fa prendere più like, perché scelgono gli altri. La migliore amica non è più quella che custodisce i nostri segreti ma quella che “posta” i nostri successi. La mamma ideale non è quella che ci trasmette valori e insegnamenti ma quella che più ci somiglia con selfie in posa e bocca siliconata.

Il trionfo degli estremismi – Il film esplora il fenomeno della condivisione su scala globale. “Adesso puoi comunicare con miliardi di persone in tutto il mondo!” tweetta una ragazza che ha connesso il padre con il cellulare. “E che cazzo ciavemo da disse?!” è la risposta del protagonista “nemico” dei social, che pone l’enfasi sulla bassa qualità di gran parte dei contenuti che vengono condivisi sulla rete. Perché se i social aiutano a spianare le differenze sociali (almeno online siamo tutti uguali), sicuramente esasperano i conflitti di opinione: le posizioni più estreme infatti, godono di maggiore tasso di condivisione perché hanno un alto contenuto emotivo, mentre l’equilibrio non suscita clamore. Si creano così, come nel film, fazioni contrapposte di social-dipendenti e persone che rifiutano i network. Una partita che in questa epoca pare epica come la madre di tutte le battaglie tra il bene e il male. Perchè senza rete si vive lo stesso. O forse no. E ci serve una risposta. Nel frattempo, “posto” questo articolo su tutti i miei profili e… mi raccomando “condividete”.