Standing ovation e lunghi applausi per Conte. Il Recovery Fund è un traguardo storico per l’intera Italia, ma a portarlo a casa è stato Giuseppi

Standing ovation e lunghi applausi nelle aule dei due rami del Parlamento, la mattina in Senato e nel pomeriggio alla Camera, per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che, dopo oltre quattro giorni di trattative infinite e Bruxelles, si presenta sorridente e visibilmente soddisfatto al cospetto dei ministri  del suo governo e dei parlamentari per relazionare sugli esiti del Consiglio europeo che si è concluso martedì. Esiti decisamente positivi, che hanno visto il premier portare a casa un Recovery Fund che garantisce all’Italia erogazioni per 209 miliardi. Una cifra al di sopra delle aspettative: rispetto alla proposta della Commissione sono rimasti invariati i trasferimenti diretti (81,4 miliardi) e aumentati di quasi 37 miliardi i prestiti (per un totale di 127,4). Non sfuggirà che  tratta di un incremento che consiste nella stessa cifra del famigerato Mes, che però non viene mai citato dal premier durante i discorsi in Aula. Solo con i giornalisti, fuori dai Palazzi, definisce “morbosa” l’attenzione sul tema invitando, piuttosto, a concentrare l’attenzione sul Recovery Fund. Fan del Salva stati avvisati. Anche perché, come afferma Conte in Parlamento, con gli strumenti messi in campo per contrastare la drammatica crisi economica e sociale innescata dalla pandemia, per la prima volta nella loro storia, le istituzioni europee hanno accettato il concetto di condivisione del debito. Evento che gli fa affermare di essere al cospetto “di un accordo dalla portata storica”. “L’Ue ha mutato prospettiva, è una svolta storica. L’intesa è stata un passaggio fondamentale, l’Europa è stata all’altezza della sua storia, della sua missione e del suo destino”,  inizia così Conte il suo discorso, che prosegue poi con l’apertura al dialogo con l’intera classe politica italiana, che ha dato prova di “grande maturità”. Il premier ricorda come l’intera architettura economica sia rimasta inalterata con 750 miliardi complessivi, anche se il risultato raggiunto “non era affatto scontato a marzo”. Quattro mesi fa l’Italia era sola, ma l’evolversi della crisi ha avvicinato Roma a Berlino e Parigi, vere forze acceleratrici per chiudere un’intesa così delicata. Arrivata superando “posizioni che sembravano insuperabili”, per produrre un “poderoso piano di finanziamento” interamente orientato alla crescita economica, allo sviluppo sostenibile e alla transizione ecologica. E, annunciando la struttura della  task force che sta preparando per impiegare in modo corretto e fruttuoso il denaro in arrivo dall’Europa (vedi pezzo a pagina due e tre) assicura di voler “realizzare il suo piano di riforme con lungimiranza e impegno, che sarà un lavoro collettivo con il Parlamento”. Bisogna cogliere una opportunità definita “storica” più volte, sfruttando magari anche la imitazione del freno d’emergenza che potrà, in ogni caso, essere usato solo per tre mesi. In pratica non ci sarà nessun potere di veto affidato ad un singolo Stato membro, come avrebbero voluto i cosiddetti “frugali” con in testa il premier olandese Mark Rutte, bilanciato in sede di negoziato dall’aumento dei rebates. Ora, ribadisce il presidente del Cnsiglio, bisogna lavorare “insieme”, fissando come architrave l’idea che l’interesse nazionale va perseguito nel “perimetro europeo”. Ecco allora che il finale di Conte è una citazione del grande economista e storico presidente della Commissione europea Jacques Delors: “è veramente giunto il momento di ricollocare il fiore della speranza al centro del giardino europeo”. Ora però il nostro Paese deve fare la sua parte, l’Ue ha saputo rispondere “con coraggio e visione fino ad approvare un ambizioso programma di rilancio”. Un risultato che, come sottolineato dal premier,  “appartiene all’Italia intera”.