L’aut aut di Matteo

di Lapo Mazzei

D’accordo, il messaggio non è nuovo. Anzi, per coloro che amano la dietrologia, giova ricordare che nella prima Repubblica era un vero e proprio mantra, una sorta di viatico del buon governante. Ma che venga ripetuto nel momento in cui la legge elettorale inizia ad affrontare la navigazione tra un emendamento e l’altro lo rende ancora più chiaro, ancora più forte. “Siamo consapevoli che siamo a un bivio straordinario. Con le riforme sarà tutto più semplice anche per quanto riguarda il lavoro, lo sviluppo”, avverte lapidariamente il segretario del Pd, Matteo Renzi, ma “se si affossa anche questa possibilità di riforme diventa davvero delicato immaginare uno spazio di speranza per questa legislatura”. Chiaro, no? Chi tocca l’Italicum muore, se invece si va avanti si tira dritto fino al 2018. Ma davvero le cose stanno esattamente così oppure il leader Dem ha semplicemente calato la maschera del buono entrato nel girone dei cattivi per mettere tutti con le spalle al muro e andare al voto con il proporzionale? E perché renzino smentisce 24 ore dopo Miss lady Maria Elena Boschi, ovvero la bellezza della politica, sostenendo l’esatto contrario, e cioè che votare si può eccome? La sensazione che l’interesse personale sia predominante sul cosiddetto bene comune è forte. Anzi fortissima. Perché se da una parte è vero che questo Paese senza riforme – vere e non finte o posticce – muore, dall’altra c’è chi non vuole affatto morire per colpa delle riforme.

Il premier ostenta fiducia
Il premier Enrico Letta, che è tra i direttamente interessati all’ultimatum, risponde ecumenico al segretario del suo partito: “Se si risolveranno i problemi della legge elettorale e del bicameralismo perfetto, il più felice sarò io. Il governo sarà più forte anche nei confronti della Ue. Per ciò che potrò fare, sarò felice di dare il mio contributo”. Chiaro no? Nel dubbio il presidente del Consiglio mette altra carne al fuoco: “Sono fiducioso”. E siccome la fiducia è una cosa seria, diventa quanto mai ardimentoso pensare che Letta abbia deciso di fidarsi un Renzi già all’ultima spiaggia, diviso fra il rischio dell’abbraccio mortale di Silvio Berlusconi e l’ostilità manifesta dei gruppi parlamentari del Pd, sempre meno disponibili ad assecondare il suo disegno. Per questa ragione la tentazione delle urne si va facendo sempre più forte. E siccome nulla va lasciato al caso LoRenzi il Magnifico in serata lancia un avviso ai naviganti: “Franchi tiratori? Può darsi che ci siano” dice in merito alle possibili imboscate in Aula al momento del voto, “però io faccio le cose mettendoci la faccia. Adesso se qualcuno di nascosto vuol fare il furbo, è un problema di credibilità sua, non mia. Vedremo, ma sono ottimista”.

Mani in avanti
Ieri, intanto, è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti e il sindaco di Firenze si deve dar da fare per conficcare nel terreno qualche pietra di confine. “Il testo base è già stato approvato e le modifiche spero siano il più condivise possibile: non è pensabile che per lo 0,5% salto l’accordo”, mette le mani avanti, memore del fatto che in passato, per molto meno, sono saltati interi programmi di governo. In effetti di movimento ce n’è tanto, anche fuori del suo partito. I pentastellati sono all’attacco con il mantra elaborato da Grillo nelle settimane scorse: liste bloccate uguale parlamento di nominati e delinquenti. Gli emendamenti presentati, infatti, sono una sessantina. Ed anche Forza Italia non rende il clima più disteso, di fronte alle stesse mini-revisioni che lo stesso Renzi sarebbe pur disposto ad accettare. Resta il no secco all’introduzione delle preferenze, ma anche sulla soglia di sbarramento del 5% per i partiti all’interno della coalizione. “L’Italia ha bisogno di riforme: economiche e istituzionali. Abbiamo bisogno di una nuova legge elettorale e di risolvere il problema del bicameralismo perfetto. Il risultato positivo su queste due riforme rafforza il Governo e l’Italia”, aggiunge Letta. Un bel lavoro, che può durare fino al 2018. E proprio per questa ragione ora, e non prima, ad avere il pallino in mano è il premier e non Matteo. Il quale, avendo scelto Berlusconi come suo avversario, adesso deve evitare l’effetto bicamerale. Ovvero vedersi il banco abilmente costruito in questi mesi rovesciato per uno zero virgola. Cosa di cui il Cav è assolutamente capace. Non a caso Matteo sostiene che con Silvio “preferisco farci l’accordo sulle regole, sulle riforme, sulla legge elettorale, che non governarci. Loro evidentemente non vogliono fare l’accordo con Berlusconi sulle regole, perché almeno poi possono governarci assieme”.