Malgrado le dichiarazioni trionfali dell’esercito regolare, che da settimane parla di una “vittoria imminente”, in Sudan la guerra civile sembra ancora lontana dall’epilogo. I gruppi ribelli delle Rapid Support Forces (RSF), infatti, non sembrano affatto sconfitti e, per il terzo giorno consecutivo, hanno lanciato una serie di attacchi contro la città orientale di Port Sudan, colpendo con droni kamikaze l’aeroporto – che ha immediatamente sospeso tutti i voli – e una base militare.
Fortunatamente il blitz non ha causato vittime, ma cresce il timore per la sorte della popolazione civile, che trova riparo nella città da cui, secondo fonti locali, è pressoché “impossibile fuggire”.
Sudan in fiamme: i ribelli non si arrendono e lanciano un grande attacco contro la città di Port Sudan, già sede del centro di comando dell’esercito regolare
Feroci scontri che, secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, costituiscono “uno sviluppo preoccupante che minaccia la protezione dei civili e le operazioni umanitarie in un’area precedentemente risparmiata dal conflitto”. Una guerra, quella in Sudan, che l’ONU non esita a definire “la peggiore catastrofe umanitaria al mondo”, avendo già causato la morte di decine di migliaia di persone e lo sfollamento di oltre 13 milioni di civili.
Dello stesso avviso anche l’Unicef che nei giorni scorsi aveva già denunciato le barbarie di questa sanguinosa guerra, affermando che negli ultimi 12 mesi il numero di minorenni che hanno bisogno di assistenza umanitaria nel Paese è raddoppiato, passando dai 7,8 milioni dell’inizio del 2023 agli oltre 15 milioni attuali.