Nel lontano 1957, Leo Longanesi scrisse che “una società fondata sul lavoro non sogna che il riposo”. Nel 2025, più che altro, le lavoratrici e i lavoratori italiani ambiscono alla sopravvivenza. Non c’entrano solo e soltanto le tre morti sul lavoro ogni giorno, oltre mille all’anno diventate – purtroppo – una costante. Due notizie delle ultime ore raccontano plasticamente cos’è al giorno d’oggi il nostro mercato del lavoro. La prima vicenda è accaduta a Portogruaro (Venezia), dove un rider, rifiutatosi di consegnare un hamburger a 50 chilometri di distanza dal fast food dov’era stato ordinato, si è visto irrogare una sanzione dall’azienda: la disattivazione del palmare, strumento indispensabile per il suo lavoro. Poco importa se in quel momento stesse piovendo e la paga fosse di miseri 3,20 euro lordi: il lavoro andava portato a termine, in qualsiasi modo e a qualunque costo al grido di “business is business”.
La solidarietà dei colleghi del ciclofattorino, sfociata in uno sciopero spontaneo (“Già a novembre avevamo avuto problemi simili, legati agli stipendi e alla disattivazione dei palmari” ha detto uno di loro), è certamente apprezzabile in tempi in cui, spesso, ognuno guarda al proprio orticello. Ma non smorza l’assurdità dell’accaduto in un settore, quello del food delivery, dove salvo rare e meritorie eccezioni negli ultimi anni a profitti miliardari non è corrisposto il benché minimo rispetto delle leggi. Scritte e non. Siccome al peggio non c’è mai fine, da Roma è arrivata contestualmente un’altra storia che ha dell’incredibile.
Un’attrice professionista, che durante la mostra immersiva ‘Art of Play’ vestiva i panni della mascotte – un pupazzo a forma di grande orso rosa – è stata colpita con un pugno sul muso da un visitatore. “Credevo si trattasse di un manichino” la giustificazione dell’uomo. L’aggressione, per cui ha sporto denuncia, le è costata 60 giorni di prognosi. “Non è la prima volta che succede un episodio del genere: poteva andare molto peggio” ha raccontato a Fanpage.it. La Cgil ha spiegato che nel giorno in cui è avvenuto il fatto la donna “stava lavorando senza alcuna copertura contrattuale” e che, pur avendo precedentemente prestato servizio per sette mesi, risulta coperta solo per circa uno come hostess. Tradotto: 180 giorni di “nero”. Questa non è che la punta dell’iceberg di un sistema in cui i diritti dei lavoratori sono considerati come un orpello. Chi ancora continua a negare l’evidenza, come la destra al governo, faccia un bel bagno di realtà. Non è mai troppo tardi.