Sulla banda ultralarga le lobby vanno all’assalto. E si scrivono pure le norme

di Stefano Sansonetti

Progetto normativo che viene messo in cantiere, lobby che atterra puntuale per spingere le soluzioni normative più “congeniali”. Non c’è niente da fare, sembra proprio che a questo schema il governo guidato da Matteo Renzi non riesca a sfuggire. E non fa eccezione il piano per la banda ultralarga da 6 miliardi di risorse pubbliche annunciato qualche giorno fa. Si dà infatti il caso che una gamba importante del progetto consisterà nel cosiddetto “decreto posa”, in pratica il provvedimento che dovrà disciplinare le operazioni di scavo e posa dei cavi in fibra ottica. Materia molto delicata, sulla quale si sovrappongono le competenze del ministero dello sviluppo di Federica Guidi e quello delle Infrastrutture di Maurizio Lupi (in questa fase toccato, pur se non indagato, dall’inchiesta su tangenti e grandi opere). Ebbene, già oggi esiste un decreto, che però dovrà essere sviluppato alla luce del nuovo piano. La sorpresa è che alla stesura delle norme ha contribuito l’associazione Iatt (Italian association for trenchless technology), presieduta da Paolo Trombetti. Di cosa si tratta?

L’ISTITUZIONE
Sul sito internet Iatt si definisce “associazione senza fine di lucro” che ha l’obiettivo di diffondere le tecnologie “trenchless” o “no dig”. Si tratta di quelle tecnologie a basso impatto ambientale che consentono posa e manutenzione dei cavi riducendo al minimo gli scavi a cielo aperto, quelli che di fatto rovinano il territorio. Un obiettivo virtuoso, non c’è che dire. Peccato che basti andare a vedere chi sono gli associati della Iatt per rendersi conto della presenza di gruppi pubblici e privati molto interessati alla torta di 6 miliardi della banda ultralarga. Tra i soci, per esempio, ci sono Site e Sirti, gruppi italiani attivi proprio nello sviluppo e nell’ingegneria di reti telefoniche. Ci sono anche società come la francese Technip e l’italiana Saipem, che normalmente svolgono attività di ingegneria in relazione al settore degli idrocarburi e che proprio per questo hanno varie competenze in tema di scavi. Tra i soci Iatt, poi, ci sono tutti i big della telefonia che avranno un ruolo di primo piano nella realizzazione del piano della banda ultralarga: Fastweb, Telecom, Vodafone, Wind e British Telecom. Infine c’è anche Metroweb, verosimilmente il perno di tutto il piano. Ora, è normale che un’associazione scriva norme che ricadono sui suoi stessi associati e che in teoria dovrebbero essere scritte dal governo?

LA POSIZIONE
Interpellata sul punto da La Notizia, la Iatt ha spiegato che “dal 2013 l’associazione ha intrapreso un percorso di normazione delle tecnologie no dig attraverso una collaborazione con l’Ente unificatore nazionale (Uni), per permetterne una più ampia conoscenza e una corretta applicazione”. In più, “esclusivamente in virtù del proprio ruolo istituzionale e delle proprie competenze, l’associazione ha fornito alle amministrazioni le informazioni di carattere tecnico e di impatto sull’ambiente che le sono state richieste, supportandole con studi universitari”. Insomma, Iatt spiega che ha agito in seguito a richieste delle Pa. Ma non c’è dubbio che abbia agito rappresentando anche gli interessi di gruppi privati.

GLI ALTRI
Che poi, a dirla tutta, il settore della banda larga non è certo l’unico in cui il governo è pressato da proposte normative provenienti da associazioni sedicenti “indipendenti”. La Notizia ha già raccontato come nei mesi scorsi al ministero della salute guidato da Beatrice Lorenzin sia arrivato un piano sulla sanità digitale predisposto dall’associazione Nova guidata dal deputato renziano Federico Gelli, da molti indicato come l’uomo forte della sanità nell’entourage del premier. Ebbene, la proposta è stata apertamente sostenuta da alcuni big dell’informatica come Telecom, Engineering, Exprivia e Dedalus. Come è possibile che un deputato, dietro il paravento di un’associazione, si faccia promotore di una proposta dietro alla quale ci sono gli interessi di grandi gruppi? Anche nel settore del venture capital (investimenti in imprese ad alto potenziale di sviluppo) di recente si è segnalata una proposta avanzata dal think tank Action Institute, guidato dall’ex banker di Goldamn Sachs Carlotta De Franceschi, fino a non molto tempo fa consulente di Renzi a palazzo Chigi a 150 mila euro l’anno. La stessa De Franceschi che, adesso, il premier vorrebbe piazzare al vertice della Covip, l’Authority di controllo sui fondi pensione. Dietro Action Intitute, peraltro, si stagliano anche la figure di manager McKinsey (Stefano Visalli) e Finmeccanica (Alessandra Genco). Insomma, un think tank che non sembra un inno all’indipendenza.

Twitter: @SSansonetti