Svolta sulla strage di Bologna. Chiesto il processo per il killer Bellini. Secondo i pm l’ex estremista nero fu l’esecutore materiale. E dalle carte spunta pure il depistaggio di un finanziere

Chissà che questa non sia la volta buona per avere, a distanza di quarant’anni, la verità sulla strage di Bologna. Già perché sul massacro del 2 agosto 1980, in cui sono morte 85 persone e ne sono state ferite oltre 200, la Procura ha scritto una nuova pagina di storia chiedendo il rinvio a giudizio di Paolo Bellini, l’ex estremista nero protagonista di una vita spericolata che alcuni testimoni hanno riconosciuto in alcuni filmati. L’ex uomo di Avanguardia nazionale è considerato uno degli esecutori della Strage e per i pubblici ministeri avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato. Ma Bellini non è il solo a rischiare di dover rispondere di quanto accaduto quarant’anni fa perché la richiesta di giudizio è arrivata anche per Quintino Spella e Piergiorgio Segatel, per depistaggio, e per Domenico Catracchia, quest’ultimo accusato di aver fornito false informazioni al pm col preciso intendo di sviare le indagini.

GIOCHI DI SPECCHI. Basterebbe questo importante risultato, impensabile fino a pochi mesi fa, per far esultare i tanti che chiedono giustizia per quello che è tutt’ora uno dei più grandi misteri italiani ma c’è di più. Già perché dall’indagine, conclusa poco prima del deflagrare della pandemia da covid-19, continuano ad emergere nuovi dettagli che gettano altre inquietanti ombre su quanto accaduto quarant’anni fa. In particolare è spuntata una manina che ha manomesso i documenti dell’interrogatorio di Gelli nel 1988, dopo l’arresto in Svizzera. Per questo si è scoperto ieri che nel registro degli indagati c’è anche il nome di un militare della Guardia di Finanza, all’epoca in servizio a Milano, che partecipò all’interrogatorio del maestro venerabile della loggia massonica P2 venuto a mancare nel 2015.

Insomma un depistaggio bello e buono capace di rallentare e compromettere l’inchiesta. Secondo i magistrati una parte del cosiddetto “documento Bologna”, un testo manoscritto sequestrato a Gelli durante i concitati momenti dell’arresto, non sarebbe stato allegato al verbale di interrogatorio dell’allora leader della P2. L’atto, acquisito qualche mese fa su input dei legali delle vittime, nell’intestazione recava l’inquietante frase “Bologna – 525779 – X.S.”, con il numero corrispondente ad un conto corrente acceso alla Ubs di Ginevra dallo stesso Gelli. Peccato che la prima pagina del documento, in cui era riportato il nome della città emiliana, non sarebbe stata fotocopiata da uno dei finanzieri. Difficile pensare ad una tragica fatalità perché con questo stratagemma, almeno stando alle tesi dell’accusa, è stato possibile evitare ogni riferimento a Bologna durante l’interrogatorio di Gelli. Una svista per la quale i pm hanno già chiesto spiegazioni al finanziere, sentito in Procura nei mesi scorsi, ma che, con tutta probabilità, sarà destinata ad un’archiviazione per sopraggiunta prescrizione.