Tappabuchi di Stato. Per salvare l’Ilva si torna alla Cassa Depositi e Prestiti. Ma la stessa Cdp in cordata con Arvedi prevedeva molti tagli

Tappabuchi di Stato. Per salvare l’Ilva si torna alla Cassa Depositi e Prestiti. Ma la stessa Cdp in cordata con Arvedi prevedeva molti tagli

Ci mancava soltanto l’ennesimo richiamo alla Cassa Depositi e Prestiti. Nel caos dell’Ilva, ieri, a rievocare un eventuale intervento salvifico della società controllata dal ministero dell’economia è stato Maurizio Landini, ex segretario della Fiom, che a quanto pare non ha ancora definitivamente smesso i panni di leader dei metalmeccanici Cgil. Qualcuno potrebbe chiedersi se per caso Landini abbia scordato che la Cassa Depositi, fino a qualche mese fa, era in lizza all’interno di una delle due cordate che concorrevano proprio per rilevare la disastrata acciaieria. In particolare la società, presieduta da Claudio Costamagna, era inserita in AcciaItalia, il raggruppamento che la vedeva insieme a Jindal, Arvedi e alla Delfin di Leonardo Del Vecchio. Ma l’amministrazione straordinaria del gruppo, un tempo appartenuto alla famiglia Riva, alla fine ha deciso di premiare l’offerta di Am Investco, composta dai franco-indiani di ArcelorMittal e dal gruppo Marcegaglia.

Il dettaglio – E ha un bel protestare, Landini, contro i circa 4mila esuberi ora proposti dai vincitori, visto che anche la cordata AcciaItalia, con dentro la Cdp, aveva proposto la riassunzione di 10mila lavoratori degli attuali 14.200. Insomma, alla fine il saldo di esuberi sarebbe stato grosso modo lo stesso anche se avesse prevalso l’offerta del raggruppamento con la società controllata dal dicastero di via XX Settembre. La verità è che in questo momento la partita è diventata eminentemente politica. Gli esuberi Ilva, per quanto annunciati, con le elezioni politiche in vista sono diventati una questione di consenso. In tale ottica devono essere interpretate le prese di posizione del ministro dello sviluppo, Carlo Calenda (da qualcuno già ribattezzato “compagno Calenda”), e le barricate dei sindacati. C’è addirittura chi ritiene che fino alle urne, previste nel 2018, sull’Ilva sarà difficile fare progressi industriali. E proprio perché la questione è diventata politica, qualcuno prova a rispedire la palla nel campo della Cassa Depositi.

Lo schema – Non è una novità che il colosso pubblico sia stato tirato per la giacca in tutte le più rilevanti situazioni di crisi aziendale, in primis Mps. In questo senso ha pesato il ruolo “attivo” che l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, avrebbe voluto veder interpretato dalla società del Tesoro. Cosa farà, adesso, la Cassa Depositi? Difficile pensare che abbia voglia, o tempo, di rimettere bocca sul dossier. Anche perché sullo sfondo tengono banco le indiscrezioni secondo le quali nel corso dei mesi la Cdp si sarebbe un bel po’ divisa, con Costamagna favorevole all’intervento in Ilva e l’Ad, Fabio Gallia, contrario. Per non parlare del fatto che i due, con il Cda, scadranno l’anno prossimo. Troppe sfaccettature da considerare, quindi, al punto che il caos attuale forse è solo un modo per spingere Mittal a usare nell’acciaieria una mano più morbida: uno strumento di pressione da esercitare sugli indiani in vista di un risultato da spendere politicamente.

Tw: @SSansonetti