Gli atti sottoscritti dal Consiglio di amministrazione della Rai, sono validi, visto che lo stesso Cda non ha mai avuto un presidente nel pieno delle sue funzioni? È la domanda, per nulla peregrina, che sta agitando la politica e i corridoi di viale Mazzini. E che presto potrebbe scatenare l’ennesima e funesta tempesta su TeleMeloni.
La questione, rilanciata con dovizia di particolari dal blog https://bloggorai.blogspot.com/, è la seguente: il Mef, come da legge, ha indicato la forzista Simona Agnes come presidente Rai. Tuttavia Agnes da mesi non riesce ad ottenere il via libera in Commissione di Vigilanza Rai, perché le mancano i voti delle opposizioni. Quindi è in un limbo, una “’non’ presidente”, come la definisce Bloggorai.
Senza presidente, decide Marano
Pur in questa vacanza di presidenza, il Cda ha operato, sostituendo la (non) presidente con il consigliere di Cda più anziano, il leghista Antonio Marano, in base l’Art. 22, comma tre, dello Statuto sociale della Rai, secondo il quale, in caso di “sua assenza, impedimento o vacanza di carica” le funzioni del Presidente vengono esercitate dal Vice Presidente e, “in mancanza di un Vice Presidente, la funzione e i poteri del Presidente sono esercitati dal consigliere più anziano di età”. Marano appunto.
Ma Agnes è una (non) Presidente
Tuttavia questo articolo riguarda la sostituzione di un presidente scelto dal Mef e approvato dalla Vigilanza, che non è il caso in essere oggi in Rai. Non un particolare, perché secondo alcuni, in questa situazione dovrebbero intervenire sia il Codice Civile (art. 2328), sia La legge speciale sulla Rai (TUSMA), norme di grado superiore rispetto allo Statuto sociale della Rai, le quali non prevederebbero la possibilità di surroga da parte del consigliere anziano perché non contemplano l’ipotesi di un presidente privo di tutti i suoi poteri.
Atti e delibere potenzialmente nulli
E, se così fosse, le conseguenze sarebbero potenzialmente devastanti, perché tutti gli atti, le delibere e i pareri del Cda, correrebbero il rischio di nullità o sarebbero quantomeno impugnabili. “È un tema sul tavolo e lo stiamo seguendo”, dice a La Notizia una fonte vicina alla Commissione di Vigilanza. E che la questione sia molto più che una voce lo confermano anche voci interne a Viale Mazzini.
Ma intanto il Cda va avanti con le nomine
Intanto però il Cda prosegue nella sua marcia forzata sulle nomine (sempre targate centrodestra). Le prossime in arrivo, domani (giovedì 5 giugno), saranno un poker: Nicola Rao alla direzione di Gr e Radio1, Giovanni Alibrandi alla direzione di Radio 2, Fabrizio Casinelli alla direzione Comunicazione e Incoronata Boccia alla guida dell’Ufficio Stampa. La certezza che queste nomine verranno proposte dall’ad Giampaolo Rossi nel Cda si avrà però solo oggi quando, per regolamento, i curricula dei nominandi dovranno arrivare sulle scrivanie dei consiglieri d’amministrazione, che avranno 24 ore di tempo per valutarli in vista del voto. Probabilmente nella stessa seduta l’ad comunicherà altre nomine che non necessitano del voto del Cda, come quella alla direzione di Rai Libri, dove sarebbe in arrivo Adriano Monti Buzzetti al posto di Roberto Genovesi, nominato ad aprile alla guida della Direzione Kids.
La storiaccia dei contratti blindati ai volti amati da TeleMeloni
Intanto resta aperta la questione budget per la stagione invernale: come svelato da La Notizia in esclusiva e mai smentito dai vertici Rai, agli onerosissimi contratti biennali con minimo garantito all’80% assicurati ad alcuni volti della Rai meloniana, che però hanno raccolto in alcuni casi share da prefisso telefonico, hanno messo in ginocchio le risorse della tv pubblica. Compensi come quelli concessi alla ex iena Antonino Monteleone (500mila euro), Maria Latella (730mila euro), Pino Insegno (oltre 1 milione) e all’intramontabile Bruno Vespa (circa 3 milioni di euro), ma già da prima dell’insediamento dell’attuale governo, hanno lasciato solo le briciole alle altre trasmissioni.
Con il rischio di sostanziosi tagli di budget alle trasmissioni che funzionano, a partire dai programmi di inchiesta come Report. Come se, nell’era di TeleMeloni, ascolti e pubblicità fossero un optional rispetto al controllo dell’informazione.