Il giorno dopo il voto, nella Lega si parla di resa dei conti. Il partito si è fermato al 4,38% in Toscana, la peggiore performance nella regione e una delle peggiori della storia recente. Roberto Vannacci, cui Matteo Salvini aveva affidato la regia della campagna, è diventato il bersaglio di un fuoco incrociato che attraversa tutto il Carroccio. «Chi vota ha sempre ragione», ha commentato a caldo, accusando l’astensione: «Un toscano su due non ha votato». Ma dentro il partito la diagnosi è diversa: il disastro è suo, e con lui quello di Salvini.
Susanna Ceccardi, commissariata dal generale, si è limitata a dire che «l’analisi andrebbe chiesta a lui e a Salvini». Giovanni Galli, escluso dalle liste, è stato più netto: «Vannacci ha impostato una campagna sbagliata, costruita su se stesso. Ora deve prendersi la valigia e ammettere di aver fallito». A Viareggio il direttivo cittadino si è dimesso in blocco, mentre la consigliera Maria Domenica Pacchini ha denunciato di essersi sentita «tradita da Vannacci e Salvini» per aver «imposto un linguaggio inaccettabile verso le donne».
Il generale, intanto, aveva gestito in autonomia la campagna, scegliendo personalmente i candidati e riservando all’ex portaborse Massimiliano Simoni l’unico collegio sicuro. La sua gestione “militare” del partito toscano ha escluso dirigenti storici e alimentato fratture che si sono riflesse sul risultato finale. Ora, tra le macerie elettorali, le correnti locali chiedono una verifica politica immediata.
Il partito spaccato
Dietro il tracollo si consuma una resa dei conti più ampia. La “Lega Salvini Premier”, già indebolita da mesi di tensioni tra l’ala nordista e quella identitaria, vede riaprirsi la faglia tra chi difende il profilo autonomista e chi spinge sulla linea nazional-populista di Vannacci. In Lombardia il governatore Attilio Fontana ha ribadito che «nessuno vannaccizzerà la Lega», mentre Massimiliano Romeo rilancia la “Carta della Lombardia”, centrata su autonomia e competenze locali.
In Veneto, Luca Zaia medita l’addio dopo che via Bellerio ha escluso il suo nome dal simbolo elettorale. «Se sono un problema, renderò reale il problema. Cercherò di rappresentare fino in fondo i veneti», ha detto, lasciando intendere la possibilità di una lista autonoma. Nelle stesse ore, i governatori del Nord hanno accolto con sollievo la disfatta toscana, letta come la fine della pretesa egemonica del generale. In controluce, riaffiora la frattura tra il partito amministratore del Nord e quello identitario costruito da Salvini.
La leadership di Salvini in bilico
La sconfitta toscana non è solo un problema di percentuali: segna il logoramento del tandem Salvini-Vannacci e riaccende le ambizioni di chi, nel partito, punta a una svolta post-salviniana. L’ex deputato Paolo Grimoldi, oggi leader del “Patto per il Nord”, ha parlato di un partito «che ha abbandonato il Nord e cerca voti con Vannacci e Mussolini».
Nel quartier generale leghista prevale la linea del silenzio. Salvini, apparso teso e sfuggente, si limita a dire che «Vannacci resta un valore aggiunto», ma la base non ci crede più. Dalle Europee 2024, quando la Lega aveva superato il 9%, al voto regionale di ottobre, il crollo è stato verticale. Il Carroccio non tocca più la doppia cifra in nessuna regione chiave e resta schiacciato tra Fratelli d’Italia e Forza Italia. Perfino tra gli eurodeputati, dove Vannacci siede da aprile, crescono i dubbi sulla compatibilità tra la sua retorica identitaria e la linea ufficiale del partito.
Pontida 2025 doveva essere la vetrina del nuovo equilibrio tra il capo e il generale; oggi somiglia al preludio di una scissione. Nelle sezioni si parla di “errore strategico”, nei territori di “deriva personale”. La sconfitta toscana non è solo un incidente: è diventata il simbolo di un partito che ha perso la bussola.