Tra Conte e Calenda il Pd ancora non ha capito chi è il vero progressista

Il segretario del Pd, Enrico Letta, finalmente confessa: è stato fatale rompere il campo largo.

Siamo ancora lì, all’“abbiamo non vinto” per non dire di avere perso e al futuro usato come condono per il passato. La direzione del Pd si apre con la relazione del segretario Enrico Letta che frantuma tutte le certezze che per mesi abbiamo letto sui giornali, polverizza le analisi di aspiranti soloni e ha un solo sottotesto: abbiamo sbagliato moltissimo.

Il segretario del Pd, Enrico Letta, finalmente confessa: è stato fatale rompere il campo largo

Il segretario dem riconosce che il Pd si è presentato “alle elezioni con un profilo non compiuto, di corsa, con un lavoro interrotto rispetto al percorso delle agorà e ci ha portato a non essere all’altezza su alcuni obiettivi fondamentali, che erano chiave per vincere. Il primo obiettivo era non essere in Italia il partito solo di coloro che ce la fanno”, ha spiegato Letta.

Forse anche la distruzione del “campo largo” non è stata una grande idea se Letta confessa che “costruire una larga unità era l’unica possibilità per andare a vincere ma non è stato possibile. Era un po’ il modello del 2006 ma questa volta non ci siamo riusciti. Questo è il film di quanto accaduto”, spiega.

La vera domanda – che non viene posta – è perché per tutta la campagna elettorale si è voluta negare una realtà che era sotto gli occhi di tutti, parlando di “vittoria possibile” e di “campo largo impossibile”. Sarà la stessa domanda – questo lo possiamo anticipare noi – che porranno a breve anche gli elettori che tra Lombardia, Lazio e altre regioni si ritroveranno di fronte all’alleanza che è stata scartata sul piano nazionale.

Un passaggio del segretario è anche sulla poca rappresentanza delle donne in Parlamento, un altro dei punti fortemente enunciati dal Pd che non ha avuto riscontro sul campo: “è il fallimento della nostra rappresentanza. È chiaro e evidente, non ho molto da aggiungere, e rappresenta il senso di un partito che non ha compiuto il salto in avanti necessario”, dice Letta, annunciando come ineludibili le nomine di due donne a capo dei gruppi parlamentari anche perché, dice il segretario, “dall’altra parte ci sarà la prima donna premier del Paese e su questo punto dovremo essere credibili”.

Letta vuole evitare un referendum sulle alleanze. Così resta irrisolto il dualismo tra liberali e socialdemocratici

A proposito di errori, dopo mesi in cui chiunque criticasse il Pd per la sua smania di governo che l’aveva infilato in un governo tecnico tutt’altro che “vicino alla gente” ora la linea cambia: “Dobbiamo essere da subito pronti a costruire una opposizione forte ed efficace – spiega Letta – sapendo anche che quando questo governo cadrà io non ci sarò ma dovremo chiedere le elezioni anticipate, nessun governo di salute pubblica, lo dico, lo dirò anche rispetto a qualsiasi dibattito congressuale”.

Qualcuno in platea mormora. Anche questa è una promessa già sentita negli anni. Inevitabile il passaggio su Conte e Calenda con Letta che invita a “fare un congresso che non sia sul nostro ombelico” evitando un referendum sui due. Il segretario non ha torto ma la scelta tra la socialdemocrazia e i liberali è il vero nodo all’interno del partito. Quindi dopo qualche magra consolazione a cui non crede nessuno (“risultato non catastrofico”) Enrico Letta invita a mettere “in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni, una donna giovane”.

In sala tutti pensano a Elly Schlein, che in sala non c’è perché al Pd non è nemmeno iscritta. Si alternano gli interventi, tra Monica Cirinnà che ricorda a Letta di non avere mai pronunciato “la parola matrimonio egualitario” e il capodelegazione al Parlamento europeo Brando Bonifei che parla di “classe dirigente screditata agli occhi degli elettori». Tutti sono già con la testa al congresso.

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