Tra il Cav e Renzi c’è di mezzo Ruby

di Ugo Magri per La Stampa

Tutta questa voglia di chiarirsi con Renzi, e di prendere impegni definitivi sulle riforme, l’ex Cavaliere non la sta dimostrando. Anzi, dà la netta impressione di svicolare. Finge di farsi tirare la giacca dai suoi, chi da una parte e chi dall’altra, in modo da apparire combattuto e con questa scusa rinviare ogni appuntamento.

 

Prova ne sia che il faccia a faccia risolutivo non è ancora fissato in agenda. Rimane nel limbo delle intenzioni. Tutti sono certi che prima o poi l’incontro avverrà, nessuno sa prevedere quando. Nel frattempo si sono fatti avanti Salvini e Grillo, disponibili a colloquiare con Renzi. Il quale ha urgenza di procedere, esige di sapere chi ci sta. Per cui la domanda è: Silvio che cosa aspetta? Non teme di essere tagliato fuori?

 

No, a quanto pare non teme affatto. «Se il Pd vuole mettersi nelle mani di Grillo, o appendere alla Lega il destino delle riforme, padronissimo di suicidarsi…», alzano le spalle dalle parti di Arcore. Dove nutrono la matematica certezza che Renzi nelle prossime ore tornerà alla carica con Berlusconi. Il quale, confermano nel «cerchietto magico», non ha la minima fretta di farsi stringere in un angolo. Anzitutto per le ragioni suggerite da Brunetta. Argomenta il capogruppo alla Camera: se devi negoziare un accordo, conviene sederti al tavolo quando la controparte è debole. In questo momento Renzi appare fortissimo. Meglio dunque rinviare il braccio di ferro conclusivo al giorno che avrà perso un po’ di smalto. Accettare adesso sarebbe un insulto alla grammatica politica. Berlusconi dunque sfugge in quanto teme di rimetterci e basta. Darla vinta al «giovanotto» senza qualcosa di veramente forte in cambio (leggi: impegno sul presidenzialismo) significherebbe spaccare Forza Italia e, soprattutto, alimentare l’equivoco tra gli elettori, che considerano lui e Renzi fin troppo in sintonia (se ne sono visti i risultati alle Europee).

 

Fin qui i calcoli politici. Poi c’è un secondo aspetto che con la politica e, forse, con la razionalità non c’entra un bel nulla perché molto semmai ha a che vedere con la natura degli umani, con i loro sentimenti e pulsioni. Nel caso di Berlusconi, inseparabili dalle sue disgrazie processuali. Venerdì comincia a Milano il processo di appello per Ruby e l’Imputato non parla che di questo. A chiunque lo chiami, regala interminabili sfoghi. Professa la propria innocenza, lamenta i quattro lustri di «persecuzione» ai suoi danni, teme di finire sepolto vivo. In primo grado venne condannato a 7 anni di carcere; se gli venissero confermati, altro che servizi sociali… Il verdetto è questione di settimane. Ma da subito, senza attendere la sentenza, Berlusconi vestirà i panni infamanti dell’imputato per concussione e, soprattutto, per sfruttamento della prostituzione minorile. L’umiliazione è tale che i suoi avvocati nemmeno sanno se il cliente accetterà di presentarsi in aula.

 

In questo stato d’animo, le sorti della riforma costituzionale sono l’ultimo dei suoi pensieri.

 

«Riparliamone dopo il processo e dopo la sentenza», è la reazione in parte inevitabile. Dove si coglie una vena di sordo risentimento contro il Pd, contro lo stesso Renzi che in autunno guidò il fronte giustizialista («peggio della Bindi, una specie di Leoluca Orlando», accusa Minzolini), contro le istituzioni ai massimi livelli che non hanno mosso un dito per tirarlo fuori dalle peste. Fa letteralmente impazzire Berlusconi che gli chiedano di comportarsi, fino a giovedì 19 giugno, come un potenziale padre della Terza Repubblica, salvo salire sul banco degli imputati dal 20 giugno in avanti quale sfruttatore di minorenni. Un cortocircuito oggettivo, una tempistica micidiale, una sovrapposizione che, comunque la si voglia giudicare, non aiuta lo sforzo di Renzi. Nessuno avrebbe mai immaginato che il cammino delle riforme si sarebbe arenato contro lo scoglio di Ruby Rubacuori. Ma la realtà batte 3 a 0 la fantasia.