Tre anni di Meloni e di promesse mancate: si allarga la distanza tra le parole e i fatti

Tre anni di governo tra slogan ripetuti e risultati parziali: il bilancio delle promesse smonta la narrazione di Palazzo Chigi

Tre anni di Meloni e di promesse mancate: si allarga la distanza tra le parole e i fatti

Tre anni fa, il 22 ottobre 2022, Giorgia Meloni giurava nelle mani del presidente della Repubblica e in Parlamento prometteva «libertà, giustizia, benessere, sicurezza per tutti gli italiani». Da allora la narrazione pubblica è stata quella di un governo inflessibile e vincente, capace di “mantenere gli impegni presi”.

Ma quando si passa dal racconto alla verifica, la tenuta degli slogan si incrina. Il 21 ottobre 2025 Pagella Politica ha misurato cento promesse centrali del programma del centrodestra: appena 22 risultano mantenute, 59 sono ancora in corso, 10 non hanno avuto seguito e 9 sono state compromesse da decisioni opposte rispetto a ciò che era stato annunciato. Il 22 ottobre 2025 Collettiva.it ha ricostruito, punto per punto, le contraddizioni tra i primi discorsi della premier e lo stato effettivo del Paese. Il bilancio che emerge è quello di un governo che ha investito sulla gestione del consenso più che sulla realizzazione delle proprie parole.

Il promessometro e la retorica della missione compiuta

Nel programma tutto era scandito con nettezza: taglio delle tasse, flat tax estesa, riduzione della pressione fiscale, riforme epocali. A tre anni di distanza, il “promessometro” di Pagella Politica certifica che meno di un quarto degli impegni è stato trasformato in leggi definitive. Il resto è ancora sospeso, rinviato, o archiviato in maniera implicita. Nove promesse risultano già contraddette dai fatti.

La premier aveva garantito che la pressione fiscale sarebbe diminuita: secondo i dati richiamati dal fact-checking, nel 2025 salirà al 42,8 per cento. L’IVA sui prodotti per la prima infanzia era stata abbassata, poi rialzata. La flat tax fino a 100 mila euro per autonomi e partite Iva non è mai arrivata. La promessa di blindare i balneari si è infranta sulle gare imposte dall’Europa. La riforma costituzionale annunciata sull’elezione diretta del presidente della Repubblica è diventata premierato, cambiando in corsa il bersaglio. Si avviano iter, si cambia il perimetro, si rivendica il successo: ciò che conta è annunciare che l’obiettivo è vicino, anche quando è stato spostato.

Inflazione, povertà, pensioni: i numeri spingono verso il basso

Nel discorso della fiducia Meloni dichiarava che «l’austerità cieca non sarà nel nostro vocabolario» e che l’inflazione andava fermata per «proteggere il potere d’acquisto delle famiglie». Collettiva.it ricorda che tra il 2021 e il 2024 l’inflazione cumulata ha superato il 18 per cento, corrosiva soprattutto sul carrello alimentare, che nell’estate del 2025 ha registrato un +3,4 per cento secondo l’Istat. Le tre leggi di bilancio approvate hanno scelto la strada dei tagli su welfare, scuola e sanità, incrementando contemporaneamente la spesa militare. Il cuneo fiscale è stato reso strutturale ma non ha compensato la perdita di reddito reale.

Sul fronte previdenziale la presidente aveva parlato di «flessibilità in uscita» e «superamento della bomba sociale per le giovani generazioni». La realtà è che l’adeguamento alla speranza di vita porta il pensionamento di vecchiaia a 67 anni e 5 mesi, con 43 anni e 3 mesi di contributi per l’anticipo (42 anni e 3 mesi per le donne). Nessun superamento della legge Fornero: solo un suo consolidamento nel tempo. Intanto i poveri assoluti nel 2025 sono 5,7 milioni, a cui si aggiungono 8,7 milioni di poveri relativi. Il 15,6 per cento delle famiglie operaie vive in povertà assoluta pur avendo un lavoro. La promessa di “non lasciare indietro nessuno” si ferma davanti ai numeri.

Sicurezza e migranti: la repressione non diventa soluzione

Nel 2022 Meloni si impegnava a garantire «città sicure, presenza fisica dello Stato e certezza della pena con un nuovo piano carceri». Il governo ha scelto di declinare la sicurezza in forma repressiva: decreto Rave e decreto Sicurezza hanno limitato gli spazi di dissenso e di aggregazione, ma non hanno affrontato le condizioni delle carceri né il tasso di suicidi tra i detenuti. La promessa di dare dignità al corpo di polizia penitenziaria si è tradotta in dichiarazioni d’intenti prive di riforme strutturali.

Sul fronte migratorio, il copione è sempre lo stesso: «In Italia non si entra illegalmente». Eppure gli sbarchi non sono cessati, il Mediterraneo continua a restituire cadaveri e il modello Albania – presentato come deterrente – è stato trasformato da sentenze e contenziosi in un sistema di rimpatrio costosissimo. Il decreto flussi, pensato per regolarizzare l’ingresso, ha prodotto migliaia di permessi senza contratti reali, alimentando nuova irregolarità. Nel frattempo, il lavoro degli stranieri garantisce il 9 per cento del Pil nazionale, pari a 177 miliardi di euro nel 2024, con salari più bassi e meno diritti. La retorica dell’invasione convive con la dipendenza economica.

La narrazione di un governo che “mantiene le promesse” si scontra con un triennio segnato da annunci, rinvii, riforme parziali e colpi di scena retorici. Il Paese, intanto, resta appeso tra una realtà fatta di inflazione, povertà, precarietà e un racconto che si autocelebra. In mezzo, la distanza crescente tra parola e fatto. E quella, dopo tre anni, è l’unica promessa pienamente mantenuta.