Tregua di tre giorni per 50 ostaggi: c’è il via libera di Hamas, ma al solito Tel Aviv frena

Ipotesi di una tregua di tre giorni per 50 ostaggi, Hamas accetta ma Israele frena e resiste al pressing degli Stati Uniti.

Tregua di tre giorni per 50 ostaggi: c’è il via libera di Hamas, ma al solito Tel Aviv frena

Tre giorni di tregua in cambio della liberazione di una cinquantina di ostaggi ancora in mano ad Hamas. Si tratta ormai da settimane ma questa volta l’agognato accordo tra i terroristi e il governo di Benjamin Netanyahu sembra avvicinarsi anche se, al momento, non è ancora concluso. Del resto ieri è stata una giornata convulsa iniziata in mattinata con la rete statunitense Abc che citando una fonte politica israeliana assicurava una svolta “imminente” e proseguita nel primo pomeriggio con la notizia secondo cui la mediazione proposta dal governo del Qatar, in accordo con l’amministrazione statunitense di Joe Biden, sarebbe stata accettata dai miliziani palestinesi.

Proprio quest’ultimi, infatti, avevano fatto sapere di aver accettato le linee generali previste dall’accordo che a quel punto in molti, forse in un eccesso comprensibile di euforia, davano ormai per fatto. Peccato che con il passare delle ore, per giunta davanti a un primo lungo silenzio da parte di Benjamin Netanyahu, si è capito che la partita non era ancora chiusa e sarebbe servito altro tempo. Infatti in serata è arrivata la doccia fredda con Hamas che prima ha rivelato come la trattativa prevedeva anche “il rilascio di donne e bambini palestinesi dalle carceri israeliane” e “l’aumento della quantità di aiuti umanitari consentiti a Gaza”, e dopo ha accusato il governo di Tel Aviv di fare ostruzionismo sull’accordo preferendo continuare a negoziarne i dettagli. A dirlo è stato Izzat al-Risheq, membro dell’ufficio politico di Hamas, che parlando con al Jazeera ha aggiunto che secondo lui “Israele non è seriamente intenzionato a raggiungere un accordo per una tregua a Gaza, ma sta temporeggiando per continuare la sua aggressione e la sua guerra contro civili indifesi”.

Il negoziato per gli ostaggi

In tempo di guerra è difficile capire come stiano realmente le cose anche se la tesi di al-Risheq su Israele che starebbe prendendo tempo non sembra affatto irrealistica. Del resto Tel Aviv fino a qualche settimana fa diceva molto chiaramente che non avrebbero trattato con i terroristi, scatenando violenti proteste da parte dei familiari dei rapiti durante il raid di Hamas del 7 ottobre scorso, per poi ammorbidire la propria posizione dicendo sostanzialmente che un accordo è possibile ma senza garantire giorni di tregua.

Un atteggiamento, quello del governo di Netanyahu, che dimostra come in realtà ci sia la voglia di trattare anche se bisogna trovare una formula che non possa essere rivenduta dai terroristi come una vittoria diplomatica. E proprio per avere una posizione di forza nella contrattazione, Tel Aviv continua a fare la voce grossa con continue minacce ai miliziani palestinesi. A lasciarlo intendere è stato il premier Netanyahu che mostrando i muscoli, nel corso di una giornata scandita da continue novità proprio sulla questione degli ostaggi, ha ammonito i terroristi di Hamas: “Ci avevano detto che non avremmo raggiunto le periferie di Gaza City e lo abbiamo fatto. Ci avevano detto che non saremmo entrati nell’ospedale al-Shifa e lo abbiamo fatto. Se non fosse chiaro, non c’è un posto a Gaza dove noi non possiamo arrivare”.

Parole non molto distanti da quelle pronunciate poco dopo dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che durante l’incontro a Tel Aviv con Brett McGurck, coordinatore Usa per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha detto molto chiaramente che “Israele non fermerà le sue operazioni a Gaza fino a quando le nostre truppe non avranno completato la loro missione: distruggere Hamas e riportare a casa dalle loro famiglie i nostri ostaggi”. Quel che è certo è che la trattativa per la liberazione parziale degli ostaggi prosegue e non si può sapere con certezza se la svolta ci sarà e in caso se arriverà entro qualche ora oppure se ci vorranno ancora diversi giorni.

Pressing continuo

Di sicuro gli Stati Uniti intendono continuare a lavorare ai fianchi il governo di Tel Aviv visto che anche ieri sul punto c’è stata una lunga telefonata tra Biden e Netanyahu. A spiegare cosa si siano detti è intervenuta una nota diffusa dalla Casa Bianca secondo cui il colloquio si è concentrato soprattutto sui rapiti portati a Gaza e sugli “sforzi in corso per garantire il rilascio degli ostaggi in mano a Hamas” con il presidente degli Usa che ha sottolineato come la partita deve essere sbloccata perché in ballo ci sono le vite di “molti bambini e anche di alcuni americani”. Un pressing sul primo ministro di Israele che, però, non arriva solo da oltre oceano visto che i familiari dei rapiti ormai da due giorni hanno iniziato una lunga e pacifica marcia che, inziata da Tel Aviv, si concluderà a Gerusalemme. Un corteo a cui stanno partecipando centiana di persone per chiedere a Netanyahu di fare tutto il possibile pur di riportare a casa i loro cari.