Trump ci tassa tutto meno le armi. Niente dazi sulle pistole italiane. Tra i prodotti nel mirino anche gli scopini da bagno. E le lobby armate ringraziano la Casa Bianca

Parmigiano, pecorino, prosciutto. Sono solo alcuni dei prodotti made in Italy che saranno aspramente colpiti dai dazi imposti da Donald Trump, per cui tanta polemica c’è stata nei giorni scorsi. E a giusta ragione: parliamo, d’altronde, di un giro d’affari che per le aziende nostrane vale 42 miliardi. La lista dei prodotti tassati è piuttosto ampia e tocca non solo l’alimentare, ma anche l’ambito tessile e quello tecnologico, fino a orologi di precisione. Senza dimenticare prodotti insospettabili e inimmaginabili come gli scopini del bagno. C’è, però, qualche settore che verrà graziato: strano ma vero non sono minimamente lambite le industrie produttrici di armi.

Un particolare, questo, sfuggito ai più, ma non a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia: “È certamente singolare, ma non inspiegabile che nell’elenco dei prodotti che l’amministrazione Trump intende sottoporre a dazi nei confronti dell’Unione europea non rientrino le armi da fuoco”, spiega Beretta. La ragione è presto detta: “Stando ai dati del commercio internazionale riportati dall’Onu (ComTrade) – commenta l’analista – gli Stati Uniti sono, dopo l’Italia, il maggior esportatore mondiale di armi da fuoco (firearms) e quindi temono che l’imposizione di dazi sulle armi possa innescare una simile contromisura nei loro confronti. Una ritorsione che non sarebbe affatto gradita dalla lobby delle armi americana che, come noto, è una delle principali sostenitrici dell’amministrazione di Donal Trump”.

Secondo i dati del Commercio estero dell’Istat, gli Stati Uniti sono il principale acquirente di armi italiane: nel 2018 sono state esportate negli Stati Uniti, “pistole e rivoltelle” per un valore di oltre 39 milioni di euro (pari al 60,2% del totale esportato) e “fucili e carabine” per un valore di quasi 123 milioni di euro (pari al 49,2%). Sempre nel 2018, l’Italia ha importato dagli Stati Uniti, “pistole e rivoltelle” per un valore di poco più di 2,6 milioni di euro (pari al 31,3% del totale importato) e “fucili e carabine” per un valore di meno di 1,7 milioni di euro (pari al 14,2%). Se guardiamo invece al commercio statunitense, nel 2018 i maggiori esportatori europei di “pistole e rivoltelle” verso gli Stati Uniti sono stati l’Austria (232 milioni di dollari), la Germania (75 milioni), la Repubblica Ceca (67 milioni), la Croazia (53 milioni) e proprio l’Italia (47 milioni).

Per quanto invece riguarda “fucili e carabine” verso gli Stati Uniti al primo posto c’è proprio l’Italia (144 milioni di dollari), seguita da Spagna (32 milioni) e Germania (22 milioni). “Non si pensi però – aggiunge Beretta – che il giro d’affari in questo settore sia così consistente. Sebbene gli Stati Uniti siano il principale acquirente di armi italiane, le esportazioni di armi comuni (pistole, revolver e fucili) dall’Italia agli Usa non superano i 170 milioni di euro all’anno. Una cifra importante, certo, ma molto meno consistente non solo in raffronto ad altri prodotti del made in Italy del settore alimentare come il vino (1,5 miliardi), la pasta (305 milioni) o le acque minerali (226 milioni), ma anche rispetto a manufatti di tecnologia simile o inferiore come gli apparecchi per uso domestico (261 milioni), le schede elettroniche (240 milioni) e finanche i prodotti di utensileria e ferramenta (355 milioni)”. Insomma, a fronte di 42 miliardi di euro di esportazioni dall’Italia verso gli Stati Uniti, le armi rappresentano solo una piccola parte. Che, tuttavia, sarà inspiegabilmente salvaguardata.