Trump, Johnson, Salvini & C. Così la politica ha sdoganato il linguaggio dell’odio. Il politologo Revelli ne ha pure per Grillo: “Ciò che corre sulla rete trascina il dibattito sempre più in basso”

Contro le “incitazioni all’odio di élite negative che perseguono il proprio progetto di potere” un antidoto potrebbe esserci. A sostenerlo è il politologo Marco Revelli: “Dato che questo marketing negativo di élite negative è un meccanismo artificiale dovuto al fatto che alcuni politici e il loro strateghi hanno capito che questo linguaggio paga in termini di voti, se il sistema della comunicazione la smettesse di seguire, amplificare e diffondere tutto ciò che va fuori dai limiti il fenomeno perderebbe appeal”.

Nel suo saggio “Turbopopulismo” con Luca Telese affronta un tema oggi molto attuale: le ragioni del tracollo civile, della violenza delle piazze, della volgarità del linguaggio. Vorrei partire da quest’ultimo, che ha contagiato anche la politica.
“Il linguaggio politico è degenerato negli ultimi tre decenni, in parte perché è degradata la politica stessa, che nella seconda metà del ‘900 era un’attività ritenuta utile e nobile mentre nel nuovo secolo è caduta in basso sia per i fenomeni diffusi di corruzione sia per la selezione della classe dirigente. I rappresentanti hanno incominciato a deludere i rappresentati perché hanno prodotto delle politiche che non andavano nell’interesse del proprio elettorato ma che erano vincolate ai mercati, ai cosiddetti poteri forti. La società ha iniziato a sentirsi scoperta, indifesa rispetto a fattori quali le disuguaglianza sociale, la disoccupazione, il lavoro non tutelato. Una gigantesca bolla di disillusione”.

Quindi i partiti populisti hanno deluso le aspettative?
“In una prima fase il populismo si è alimentato di questo sentimento diffuso di risentimento, i populisti sono stati percepiti come coloro che denunciavano il fatto che le democrazie contemporanee non rappresentano più i loro cittadini. Si è cominciato ad usare il linguaggio della strada per segnalare il fatto che non si apparteneva alla casta, al salotto buono. Il ‘Vaffa’ grillino è l’emblema di questo uso di un linguaggio triviale presentato come linguaggio popolare e autentico in contrapposizione al linguaggio alto delle élite. Il turbopopulismo è la degenerazione degli ultimi anni: negli Stati Uniti è coinciso con l’elezione di Donald Trump, con Boris Johson in Inghilterra e da noi con Matteo Salvini, con il Mojito in mano e le cubiste intorno: uno scenario da suburra utilizzato per sembrare simile a quello che ritengono essere il loro elettorato. Che naturalmente non è tutto così”.

Quanto hanno inciso i social network, che permettono a chiunque di riversare odio senza pagarne le conseguenze?
“Moltissimo. I media sono interconnessi, il circuito di Facebook e di Twitter in parte rimbalza sulla carta stampata e contamina la televisione, quello che il politico scrive e condivide sui social viene amplificato dagli altri mezzi di comunicazione e viene sdoganata un tipo di modalità espressiva triviale. L’odio è un sentimento potentissimo e ha un’energia comunicativa poderosa. La tragedia è che ciò che corre sulla rete è interconnesso alla politica, trascinandola sempre più in basso in una spirale di autoreferenzialità”.