Uccidere un barbone si può. E se si è minorenni non si paga. Un 17enne brucia vivo un clochard a Verona. Ma per il giudice può tornare libero tra 3 anni

La vicenda è quella della morte di Ahmed Fdil, clochard di 64 anni

Bruciare un barbone e farla franca è possibile. Non si tratta di uno scherzo e nemmeno di una provocazione ma dell’ultima novità in fatto di diritto che viene dal tribunale dei minori di Verona. La vicenda è quella della morte di Ahmed Fdil, il senza fissa dimora di 64 anni che il 13 dicembre 2017, a Santa Maria di Zevio, veniva arso vivo da due ragazzini, rispettivamente di 13 e di 17 anni. Un delitto brutale che, data l’età dei ragazzi, finiva all’attenzione del Tribunale dei minori di Mestre in quello che sembrava un processo dall’esito scontato ma che, invece, ha lasciato tutti attoniti. Il più piccolo dei due, seppur ritenuto responsabile della morte del clochard, usciva immediatamente dal procedimento perché non imputabile non avendo ancora compiuto i 14 anni.

Così il processo continuava per il solo 17enne che, accusato di omicidio volontario aggravato, sembrava avere un destino giudiziario a dir poco segnato. Eppure ieri, con una mossa a sorpresa che ha lasciato sgomenti i familiari del defunto, il giudice ha deciso di non condannarlo. Anzi, con un’ordinanza che lascia attoniti, il giudice ha disposto che il ragazzo, ormai quasi maggiorenne, continuerà a vivere nella comunità che lo ospita da diverso tempo per un periodo di 3 anni. Ma c’è di più perché dopo questo periodo di tempo, se dimostrerà un corretto comportamento, il reato verrà dichiarato estinto. Un caso che rischia di fare scuola e che sicuramente farà discutere a lungo. Questo perché i due ragazzini, avevano anche confessato l’omicidio. Ma c’è di più perché avevano anche spiegato che il loro gesto era stato un semplice gioco per rompere la noia, come se la vita di un barbone non avesse alcun valore.

Intendiamoci, questa mancata sentenza, sostanzialmente la sospensione di tre anni del processo e la sua probabile conclusione in un nulla di fatto, non è un atto contrario alla legge. Eppure presenta numerosi interrogativi perché da un lato fa leva sulla discrezionalità, sacrosanta, del giudice di turno e dall’altro sfida il senso comune di chi, come i parenti delle vittime, chiede giustizia. Del resto casi come questi non sono di certo una novità nel panorama italiano. Tantomeno si sono necessariamente risolti a tarallucci e vino, anzi spesso sono terminati con pesanti condanne. Come nel caso di due sedicenni che, nel 2017, commisero un duplice omicidio. Fatti per i quali finirono davanti al tribunale dei minori di Bologna che, il 19 febbraio 2018, li condannava a diciotto anni di carcere.

Insomma quel che spaventa è che esistano delle storture della legge per le quali la bilancia della giustizia possa pendere dal lato di chi delinque anziché da quello delle vittime. Casi che sebbene siano chiare le responsabilità delle parti, come nel caso di Verona dove c’è stata anche la confessione, finiscano sostanzialmente con una pacca sulle spalle, ossia la messa in prova per tre anni. Se non in quella che sembra una vera e propria impunità.