La Grecia vede il default. Adesso i falchi diventano avvoltoi. Tsipras a caccia di un compromesso. Ma la Merkel dice no a qualunque proposta di Atene

Forse la Grecia si salverà con un triplice salto mortale carpiato degno delle migliori Olipiadi, ma comunque andrà a finire queste acrobazie restaranno il simbolo di una Comunità europea perennemente in bilico, come un tuffatore sul trampolino costretto a esibirsi in prestazioni sempre più difficili. E una volta scaduto il termine per ripagare una delle rate del suo debito, al governo di Alexis Tsipras e a quegli euroburocrati che hanno tirato la corda fino a spezzarla non restano che le piroette più improbabili. Tuffi troppo pericolosi, che il premier greco aveva già deciso di non fare più, preferendo il salto nel vuoto di un default inevitabile e di un referendum che potrebbe significare la fine della sua breve esperienza di governo.

FESTIVAL DELL’IPOCRISIA
Quando tutto ormai sembrava deciso, ecco lo scrupolo di coscienza che non ti aspetti, la voglia di tutti i protagonisti di questa tragedia di non restare con il cerino in mano, responsabili finali di quella che potrebbe diventare la fine o l’inizio della fine dell’Europa unita e dell’Euro. Così Tsipras ha buttato li ancora un piano e Jean Claude Juncker non ha potuto far finta di niente. Ma è difficile che i creditori, ai quali per anni non andava bene niente, adesso si calino le braghe. È saltato fuori così un terzo piano di salvataggio per la Grecia, insieme alla ristrutturazione del debito al 180% del Pil che strozza ogni possibilità di ripresa del Paese. Pure l’Eurogruppo (cioè i ministri delle Finanze europei) non se l’è sentita di bocciare l’idea e ha acconsentito a un nuovo vertice. C’è ancora speranza dunque? Ma non scherziamo. Quella stessa signora Angela Merkel che poche ore prima diceva con aria marziale “Se l’Euro fallisce l’Europa fallisce” si è già scordata tutto e per non farsi prendere al bavero da uno Tsipras qualunque gli ha subito detto che di nuovi piani non si parla nemmeno, chiedendo di vedere prima il risultato del referendum. Qualche spiraglio di trattativa però c’è ancora. Pure a tempo scaduto. E questo è merito essenzialmente del presidente americano, Barack Obama, non certo per una improvvisa generosità verso le questioni europe, ma per non consentire ad Atene di finire sotto la protezione della Russia di Putin. Mentre la Merkel e i suoi falchi del rigore continuano a fare di tutto per buttare fuori la Grecia dall’Eurozona, Putin invece la corteggia. E non è escluso che possa autorizzare dei prestiti diretti, accompagnando il Paese verso l’uscita dalla oneta comune per tornare alla dracma.

L’UE NON C’É
La data da attendere è dunque il 5 luglio, quando il popolo greco sarà chiamato a esprimersi sulle proposte d’accordo tra Atene e i creditori internazionali. A quella data arriverà un paese stremato, con le banche chiuse da una settimana, con i bancomat che sputano fuori appena qualche banconota di piccolo taglio. Un fardello umiliante per una nazione intera, che la Merkel sa bene non basterà a far sparire l’orgoglio di un Paese orgogliosissimo. Mentre Juncker invita a votare sì a quel referendum, i falchi – con la Merkel in testa – sperano nell’esatto contrario. Cada oggi la Grecia. Domani forse toccherà all’Italia. E alla fine la Germania tornerà al suo amato marco. O a un euro di serie A da contrapporre a quello di serie B. La conquista dell’Europa che settanta anni fa avevano tentato con le armi sbagliate.