Un disastro enciclopedico. Ma la Treccani paga oro

di Andrea Koveos

A  far compagnia alle cyclette, in cantina finisce pure la mitica Treccani, enciclopedia diventata però leggera  nella battaglia con la divulgazione digitale. Non è l’unico caso di impresa storica in difficoltà visto che  il sistema Italia sta franando. E i primi settori a crollare, si sa, sono i più deboli, quelli culturali. In questo scenario apocalittico, checché ne dica il ministro Saccomanni, non si salva nemmeno una delle più prestigiose istituzioni nazionali. Le ultime gestioni sono state tutt’altro che brillanti (-36.7% per le enciclopedie; – 27% per i dizionari, si salvano solo le opere di pregio)Quella realtà che ha dato lustro al nostro Paese fin dagli anni ’30, ha mostrato difficoltà nello stare al passo coi tempi. Da ente che offriva posti di lavoro a oltre 2 mila persone, oggi conta circa 150 dipendenti a causa di una drastica riduzione della forza lavoro. Riduzione che, però, dovrebbe favorire  l’esodo di quelle figure con qualifiche non più funzionali. Mentre ai lavoratori è stato chiesto di firmare contratti di solidarietà si continuano a elargire compensi stellari su presupposti di bilancio contrari. Anche per la Treccani la crisi nasce da lontano e il boom degli anni ’70 ha gettato le basi per un futuro incerto. Furono anni in cui si aprirono sedi negli Stati Uniti senza che vi fosse, preventivamente, nessun progetto editoriale e commerciale con  solo costi da coprire.

Gli stipendi dirigenziali
Sul versante compensi nessun taglio. Negli ultimi anni la spesa per questa voce è rimasta identica. L’Assemblea dei soci ha determinato, infatti, fino al 2013, 150 mila euro l’anno per il presidente dell’Istituto; 200 mila per l’Ad; 216 mila per i componenti del Cda, 27mila per il presidente del Collegio sindacale e 18mila per i  Sindaci. Va segnalato che l’attuale Presidente, Giuliano Amato, non ha mai percepito il proprio compenso al quale ha dichiarato di rinunciare.
Oggi nel Cda siedono ancora rappresentati di Banche e di grandi Società pubbliche o para pubbliche (Intesa San Paolo, Fondazione Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Bnl, Telecom, Banca d’Italia, Rai solo per citarne alcune) che dovrebbero “sganciarsi” dalle logiche di mercato in quanto la cultura deve accompagnare la crescita di una Nazione non guardare agli “Utili di esercizio”. Come ha rilevato la Corte dei Conti se l’Istituto intende proseguire nell’ammodernamento della vendita occorre ripensare la commercializzazione  delle opere

La replica
Nella generale compressione del mercato le vendite mantengono un livello di assoluto rispetto. Nel 2012 52.3 milioni di euro (-3% circa sul 2011). Nei primi quattro mesi del 2013 16.7 milioni di euro (-1,5% sullo stesso periodo del 2012). Come si vede non conoscono cadute a due cifre percentuali come molti dei nostri concorrenti (es. Utet -13% e Fmr -31% nel 2011 vs 2010, fonte ultimi bilanci disponibili) o altri settori di mercato. Segno evidente che, pur nelle difficoltà del momento, si è riusciti, a compensare adeguatamente le difficoltà della congiuntura. Questa la risposta – pubblicata anche dal Giornale d’Italia – di Massimo Massimi, Direttore Organizzazione, Personale e Affari Legali della Treccani.