Un governo senza più freni nella guerra ai poveri. “Genera assistenzialismo”, altra balla sul salario minimo

Un governo senza più freni nella guerra ai poveri. “Genera assistenzialismo”, altra balla sul salario minimo

Un governo senza più freni nella guerra ai poveri. “Genera assistenzialismo”, altra balla sul salario minimo

Ogni giorno esponenti del governo fanno a gara a chi sul salario minimo la spara più grossa. Tentativi maldestri per giustificare il muro ideologico e pregiudiziale che hanno alzato contro la proposta delle opposizioni – fatta eccezione per Italia Viva che ha deciso di sfilarsi dalla partita – di introdurre una soglia minima di retribuzione di 9 euro lordi l’ora.

E così se qualche giorno fa il ministro e vicepremier di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato che il salario minimo è roba da Unione sovietica, ignorando che 30 Paesi Ocse su 38 e 22 Paesi su 27 in Europa ce l’hanno, ieri è toccato al meloniano ministro Nello Musumeci sparare l’ultima balla. “Credo che la risposta sia il lavoro. Basta con questo assistenzialismo”, ha detto a proposito del salario minimo.

Negare la realtà

Ma Musumeci evidentemente ignora del tutto il fenomeno del lavoro povero, ovvero di quanti, pur lavorando, percepiscono buste paga da fame. In Italia un esercito di circa tre milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici guadagna meno di 9 euro l’ora. Le parole di Musumeci provocano la reazione furibonda delle opposizioni. Pd e M5S su tutti. “Altro giorno, altra perla dei ministri del sempre più imbarazzante governo Meloni”, ha denunciato il leader del M5S, Giuseppe Conte che definisce quelle del ministro della Protezione civile “parole a vanvera”.

“I ministri di Giorgia Meloni non sanno nemmeno che chi chiede il salario minimo lavora da mattina a sera: non chiede di essere assistito, ma semplicemente pretende di essere pagato il giusto, non 3 o 4 euro l’ora”, ha spiegato l’ex premier. “Sono ministri che hanno giurato sulla Costituzione ma non l’hanno letta. Che il salario sia equo e dignitoso lo prescrive l’articolo 36 della nostra Carta costituzionale – ha continuato Conte -. Le forze di questa maggioranza hanno altre idee su diritti ed emergenze del Paese: i vitalizi per gli ex senatori, andare in giro con 5mila euro in contanti in tasca”.

Sulla stessa lunghezza d’onda è la replica della segretaria del Pd, Elly Schlein. “Sono passati da ‘prima gli italiani’ a ‘prima gli sfruttatori’ evidentemente. Vorrei che rileggessero la Costituzione e l’articolo 36 perché non si può tenere insieme lavoro e povero nella stessa frase”. E ancora. “La dichiarazione di Musumeci è un insulto e un atto di cinismo a chi è costretto a lavorare con paghe orarie di 3 o 4 euro, al limite della schiavizzazione”, commenta Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs.

“Con le battute di Tajani sull’Unione Sovietica, quelle di Musumeci sull’assistenzialismo e le inevitabili polemiche non si va da nessuna parte. Credo sia necessario abbassare i toni e avviare un confronto di merito”, dice Carlo Calenda di Azione.

Mentre il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali continua ad arretrare con un aumento previsto nel 2023 pari al 2,5%, di molto inferiore alla crescita dei prezzi dato che l’inflazione acquisita per l’anno viaggia sopra il 6%, l’eventuale introduzione di un salario minimo per legge pari a 9 euro lordi l’ora – secondo i calcoli presentati dall’Istat – significherebbe aumenti per 3,6 milioni di rapporti di lavoro con un aumento medio di 804 euro a rapporto e una crescita del monte salariale di quasi 2,9 miliardi.

La stessa Confindustria non si oppone più e l’unico sindacato a dire no è la Cisl. Ma per il governo la legge sul salario minimo non deve passare. Martedì prossimo è previsto lo scontro finale in Parlamento. In ballo in commissione Lavoro della Camera c’è l’emendamento soppressivo della maggioranza per affossare la proposta delle opposizioni. Poi a fine luglio è previsto lo sbarco del testo in aula. Se l’emendamento dovesse passare, le opposizioni non escludono di spostare la battaglia nel Paese con una raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare con cui ritornare poi in Parlamento.