Una Manovra poco rosa. Che fine ha fatto “io sono Giorgia”?

L'impressione che il pacchetto di misure previste dalla Manovra sia un pacco rifilato alle donne è sempre più solida.

L’impressione che il pacchetto di misure previste dalla Manovra sia un pacco rifilato alle donne è sempre più solida. Era lo scorso inverno quando grida di giubilo femminili si levavano al cielo dopo l’attesissima tampon tax che tagliava ben oltre la metà l’aliquota sugli assorbenti femminili dal vertiginoso 22% al 10 %. Insomma, in quel periodo del mese le donne non devono “dissanguarsi” economicamente, e non vuole essere una battuta di cattivo gusto.

L’impressione che il pacchetto di misure previste dalla Manovra sia un pacco rifilato alle donne è sempre più solida

Nella manovra meloniana si passa a un’ulteriore gradita riduzione dell’IVA sui prodotti femminili non compostabili, e a una riduzione al 5% dell’IVA sui pannolini e prodotti per la prima infanzia. Ottima cosa, certo, che insieme ad una serie di innumerevoli altre disvela la visione governativa sulla questione, tra tagli vari e risorse economiche che appaiono sempre più draconiane.

Il governo era partito tra polemiche varie con la nomina della Ministra Roccella le cui dichiarazioni sull’aborto in passato erano risultate ambigue e che ripete la parola “famiglia” (tradizionale: madre, padre, figlio) ad ogni uscita pubblica.

“Io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”.

Quando ancora risuona nelle nostre teste il refrain, degno di un tormentone estivo alla Fedez, in cui l’attuale Premier – un’oratrice innegabilmente straordinaria – urlava: “Io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”. Ecco, “madre” la parola chiave. Lo status di donna speciale a cui si eleva la donna genitrice, ben lontana dalla idea di una maternità come libera scelta (si può scegliere di non diventare madri e di essere considerata una donna esattamente come tutte le altre, a riparo dei dettami di una società che stabilisce per te il ruolo da assumere), di una maternità come impossibilità (tante donne vorrebbero avere un figlio, ma non possono averlo per ragioni legate alle loro condizioni di salute).

Certamente lo Stato deve costruire e garantire le condizioni affinché una donna possa serenamente scegliere di diventare madre, ma al contempo tutelare chi sceglie di non diventarlo liberandola dallo stigma di non aver procreato. Ma, soprattutto, quando una donna diventa madre – andando oltre le differenze fisiologiche – questa non può essere sovraccaricata dagli oneri della gestione dei figli che devono essere equamente distribuiti con l’altro genitore.

Ma veniamo alla Manovra e alla trappola comunicativa costituta dal congedo parentale. La Meloni ha dichiarato fieramente dopo l’approvazione del Disegno di Legge di Bilancio 2023 di aver aggiunto “un mese in più di congedo parentale facoltativo all’80%, ora retribuito al 30%. Io ho sempre pensato che molte madri non se lo potessero permettere”. Ecco, ma perché devono “permetterselo” solo le madri? E i padri che fine fanno?

Volendo tendere una mano alle madri in realtà questa misura ha corroborato l’idea di stampo patriarcale che sia la donna a doversi occupare dei figli e non di certo il padre che a questo punto, qui l’aggravante, non avrebbe nemmeno gli stessi diritti della madre. La promozione della cultura dell’equità vale più di una mancetta governativa e se mancavano le risorse per poter estendere la misura anche ai padri, forse era bene non vendersi la misura come il successo che in realtà non è.

A riprova della visione distorta della maternità che non tiene conto della complessità della questione di genere, sempre in Manovra la tanto discussa modifica di “Opzione Donna”. Fino ad oggi, infatti, è stata destinata a tutte le donne tenendo conto di due soli parametri “età” e “contributi”, senza requisiti legati al lavoro svolto, alla condizione familiare o personale. Adesso viene incrementata l’età assieme all’introduzione dei requisiti che restringendo drasticamente la platea delle beneficiarie gettano benzina sul gioco della discriminazione a danno delle donne che non hanno figli.

Il requisito anagrafico che vede alzata la soglia a 60 anni di età è legato al numero di figli: può essere ridotta di un anno per ogni figlio, fino al massimo di due. Solo per tre categorie indipendentemente dai figli è possibile accedere alla soglia dei 58 anni di età: essere caregiver, ovvero chi assiste un coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap, chi ha una invalidità uguale o superiore al 74%, chi è stata licenziata o lavora per un’impresa per la quale è attivo un tavolo di crisi.

“Opzione donna” come molti hanno tuonato in questi giorni, a partire dai sindacati, diventerebbe “Opzione mamma” e così – in un rimpallo tra i ministeri per mettersi al riparo da critiche violente – si vocifera di una retromarcia governativa che, mentre la manovra viaggia verso la discussione parlamentare, non è ancora chiaro se ci sia stata o meno. E noi donne tutte, mamme e non, attendiamo di sapere.

 

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