di Monica Tagliapietra
Chi ha fiducia nel Jobs Act o nei centri per l’impiego? Diciamo la verità: quasi nessuno. E se si cerca sul serio un lavoro l’elenco da scorrere sul serio resta quello di amici e parenti. A rivelarlo è l’Eurostat, da cui arriva anche una chiave di lettura interessante sul perché in Italia le cose vanno in un certo modo in mentre ad esempio in Germania la musica cambia. Dai dati dell’istituto europeo di statistica risulta infatti che da noi solo un quarto dei disoccupati, il 25,9%, cerca lavoro tramite centri per l’impiego pubblici mentre oltre otto su dieci si rivolgono ad amici, parenti e conoscenti (84,3%). Il dato però si capovolge se si guarda lo stesso tipo di problema in Germania. Qui infatti le percentuali si invertono con il 75,8% dei senza lavoro che si rivolge ai centri pubblici per l’impiego e appena il 39,6% che chiede a conoscenti. Nell’Unione europea a 28 il 46,7% dei disoccupati utilizza i centri pubblici per l’impiego mentre il 71,1% afferma di chiedere anche ai conoscenti.
SFIDUCIA – Quella che emerge con nettezza è dunque la totale sfiducia di chi cerca lavoro – e dunque in moltissimi giovani – nel riconoscimento del merito. In questo Paese essere i più bravi non solo non basta, ma non ci si prova nemmeno ad affermare le proprie competenze. E l’osservazione dell’andazzo comune spinge ad utilizzare i metodi di sempre: la ricerca della spintarella, dello scambio o del privilegio in nome di quel “tengo famiglia” che non passa mai di moda. Se dunque non c’è niente di male nello sfruttare le entrature di cui si dispone, è il messaggio che arriva da un tale comportamento che fa perdere molte speranze sulla capacità di questo Paese nel cambiare approccio, riponendo fiducia nel riconoscimento del merito e soprattutto nel tramonto del malcostume delle raccomandazioni. Malcostume che – come ci dicono le statistiche – è ben lontano dallo scomparire. Colpa di chi cerca le scorciatoie nella caccia a un impiego, ma ancor di più di chi quelle scorciatoie le apre e ne consente l’accesso. In Germania tutto questo non accade, o per lo meno accade in misura minore, come l’Eurostat ci ha fatto solertemente sapere.
PIÙ IMPRESE – Intanto l’Istat, nel suo rapporto sulla competitività, segnala che tra il 2013 e il 2015 i posti creati dalle imprese sempre attive sono stati 1,1 milioni, mentre quelli “distrutti” sono stati 845 mila, con un saldo positivo di 255 mila posti di lavoro. “Per la metà delle imprese manifatturiere che ha aumentato l’occupazione tra gennaio e novembre 2015 gli esoneri contributivi hanno svolto un ruolo fondamentale per la crescita dei posti di lavoro. Nei servizi, la quota di imprese che ha ritenuto tale novità normativa “molto” o “abbastanza” rilevanti è pari al 61%”. Il nuovo contratto a tutele crescenti nato con il Jobs Act “sembra invece aver esercitato un ruolo meno rilevante – dice l’Istat – ma pur sempre positivo: il 35% delle imprese manifatturiere lo ha giudicato molto o abbastanza importante contro il 49,5% delle imprese dei servizi”. Con la riduzione della decontribuzione, scattata con l’inizio di quest’anno, è probabile che i dati sull’occupazione – per altro non esaltanti, anche se positivi – mettano la retromarcia. Si vedrà così quanto è servito sul serio il Jobs Act, riforma che doveva scuotere le imprese ma che probabilmente è rimasta una promessa.