“Una riforma che mira al condizionamento politico della magistratura”: parla Nicola Gratteri

Riforma della Giustizia, parla il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri: "La separazione delle carriere tra giudici e pm c'è già".

“Una riforma che mira al condizionamento politico della magistratura”: parla Nicola Gratteri

Dottor Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, la riforma della giustizia in discussione non sembra prevedere risorse adeguate né una stabilizzazione del personale, in particolare di chi lavora negli Uffici per il processo. Ritiene che questo possa incidere sull’efficacia complessiva della riforma?
“La riforma costituzionale appena approvata al Senato, non affronta minimamente il tema delle risorse da destinare agli uffici giudiziari, né quello dell’efficacia e dell’efficienza della giustizia. Non ci sono all’orizzonte iniziative per la stabilizzazione del personale dell’Ufficio per il Processo, ossia quella struttura organizzativa presente nei tribunali e nelle Corti d’appello italiane che supporta i magistrati per garantire la ragionevole durata dei processi attraverso l’innovazione organizzativa e l’uso della tecnologia, grazie a progetti finanziati dal Pnrr per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario. Gli unici aspetti affrontati, in questo momento, dal Parlamento sono quelli che aprono la strada al condizionamento politico dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni”.

Si riferisce alla separazione delle carriere?
“Esiste già la separazione netta tra giudici e pubblici ministeri, perché introdotta nel 2006 con la riforma Castelli e rafforzata nel 2022 dalla riforma Cartabia. Ogni anno cambiano funzione circa una trentina di colleghi, su una pianta organica di ben 9.500 magistrati. Tra l’altro per cambiare funzione, i magistrati devono cambiare regione e possono farlo una solamente una volta nel corso dei primi dieci anni di attività professionale”.

E allora quale ritiene che sia il vero obiettivo di questa riforma?
“Con questa riforma costituzionale si pone, invece, la premessa per sottoporre il pubblico ministero al controllo politico del governo di turno, separandolo definitivamente dalla giurisdizione. Un altro aspetto importante riguarda l’esercizio del potere disciplinare: viene introdotta una norma ambigua, che può portare al controllo e al condizionamento esterno della magistratura da parte della politica”.

In che modo?
“Attualmente le sentenze disciplinari sono emesse dalla Suprema Corte di Cassazione. Il nuovo art. 105 della Costituzione crea l’Alta Corte disciplinare, ma si limita a garantire una rappresentatività dei giudici e dei pm nella composizione dei collegi che devono decidere i procedimenti disciplinari, lasciando aperta la questione del numero dei laici, non togati e quindi scelti dalla politica che faranno parte di questi collegi. Ciò significa che le decisioni disciplinari, nei confronti dei magistrati che si occupano di temi sensibili e importanti potranno essere assunte da collegi a maggioranza composti da componenti di designazione politica che portano a condizionare l’azione giudiziaria e minare l’indipendenza e autonomia della magistratura. La conseguenza sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione giudiziaria ricadranno tutte sui cittadini che non saranno più uguali di fronte alla legge”.

Ma non c’è solo il tema della riforma costituzionale. Alcuni osservatori hanno espresso preoccupazione, nel contrasto alle mafie, sulla disciplina dei cosiddetti “reati spia”, come traffico di influenze o abuso d’ufficio. Hanno ragione?
“Nell’agosto del 2024 la legge Nordio ha abrogato il reato di abuso d’ufficio e ha ridimensionato il reato di traffico di influenze illecite. Il primo reato non è più punibile, per cui oggi un amministratore o un componete di un ufficio tecnico potranno emettere dei provvedimenti in favore dei propri familiari o amici e a discapito di altri utenti e cittadini senza essere puniti per la loro condotta. O ancora, il componente di una commissione di concorso potrà agevolare un concorrente rispetto ad un altro senza rispondere di alcun reato”

Con quali conseguenze?
“Tutto questo ovviamente si ripercuote anche sul contrasto ai fenomeni mafiosi, perché in quei territori in cui ad esempio c’è la sistematica aggiudicazione di gare d’appalto a imprenditori collusi con la criminalità organizzata, pur in assenza dei requisiti di legge, le condotte di abuso d’ufficio, che sono sintomatiche delle infiltrazioni mafiose all’interno dell’ente pubblico, non trovano alcuna sanzione”.

A suo avviso, questa riforma risponde davvero alle esigenze concrete dei cittadini in termini di tempi, accessibilità e fiducia nella giustizia?
“Questa riforma renderà più difficile per i cittadini l’accesso al sistema giustizia, verrà mortificato il principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge, aumenteranno i costi per coloro che si troveranno loro malgrado ad affrontare un processo e che di fronte ad un pm avvocato dell’accusa – non più garante terzo dei diritti di tutti i cittadini di fronte alla legge – dovranno pagare parcelle ancor più elevate ai propri difensori. Per non parlare della triplicazione dei costi pubblici che ricadranno sui cittadini con l’istituzione del doppio Consiglio Superiore della Magistratura e dell’Alta Corte disciplinare”.

In Italia viene uccisa una donna, mediamente, ogni tre giorni. Eppure non si registrano interventi sistematici di educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Come valuta la scelta, sostenuta anche da un recente emendamento, di escludere questo tipo di formazione dalle scuole primarie e secondarie di primo grado?
“Penso che il legislatore non debba essere miope rispetto a fenomeni così ampi e diffusi di violenza di genere che richiedono un serio investimento sulla prevenzione e quindi sulla formazione delle nuove generazioni.

Perché in Italia il tema del carcere e della rieducazione sembra ancora così marginale nel dibattito pubblico? Come si spiega un tasso di recidiva che supera il 60% e la quasi totale assenza di iniziative strutturate sia per i detenuti sia per il personale penitenziario?
“Il tema della rieducazione nelle carceri richiederebbe anche qui un’attenzione e un investimento serio da parte dell’amministrazione della giustizia e passa attraverso la creazione di condizioni di vita dignitose per la popolazione penitenziaria, con la creazione di nuovi istituti carcerari e la predisposizione di servizi sociali e di attività formative adeguate all’interno delle carceri. Il governo ha rinunciato ad investire i fondi del Pnrr in questo delicato settore ed è inutile dire che il sovraffollamento incide sia sul fenomeno drammatico dei suicidi, sia sul tasso di recidivanza, sia sulla difficoltà di gestione degli istituti da parte della polizia penitenziaria”.