Dopo due anni di guerra e davanti al tanto agognato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, che si aggiunge a quello in Libano, sarebbe lecito aspettarsi un lento ma costante diminuire delle tensioni tra Israele e il resto del mondo arabo. Peccato che le cose non stiano andando proprio così: tra accuse reciproche di violazioni dell’accordo di pace che Hamas e Benjamin Netanyahu continuano a rimpallarsi, e bombardamenti che – seppur isolati – continuano a funestare l’area.
Quello che nessuno si aspettava, però, è la ripresa dei raid dell’esercito israeliano (Idf) in Libano, dove si è verificato un grave e drammatico “incidente” con un drone che ha attaccato una pattuglia dell’Unifil, la missione delle Nazioni Unite che tenta di evitare contatti tra le forze israeliane e quelle libanesi di Hezbollah.
Botta e risposta tra Unifil e Idf dopo i raid in libano contro la missione Onu
A darne notizia è stata una nota della missione Onu, secondo cui ieri pomeriggio, verso le 17.45, “un drone israeliano si è avvicinato a una pattuglia dell’Unifil operante nei pressi di Kfar Kila e ha sganciato una granata. Pochi istanti dopo, un carro armato israeliano ha sparato un colpo verso le forze di peacekeeping”. Nella nota si sottolinea che “fortunatamente non sono stati causati feriti o danni”, ma si precisa anche che l’attacco fa seguito a “un precedente incidente avvenuto nella stessa località, in cui un drone israeliano aveva sorvolato la pattuglia dell’Unifil in modo aggressivo”, spingendo le forze Unifil ad applicare “le necessarie contromisure difensive per neutralizzare il drone”.
Azioni dell’Idf che, conclude il comunicato della missione Onu, “violano chiaramente la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza e la sovranità del Libano, e dimostrano disprezzo per la sicurezza delle forze di peacekeeping impegnate nelle missioni”.
Accuse pesanti, a cui ha risposto l’esercito di Netanyahu, provando a ribaltare le evidenze e di fatto facendo tramontare l’iniziale tesi secondo cui l’attacco alla pattuglia Unifil fosse un mero “incidente”. Secondo l’Idf, infatti, le truppe israeliane avrebbero risposto – con una sorta di avvertimento – all’abbattimento del loro drone da parte del personale della missione Onu. “Un’indagine iniziale suggerisce che le forze dell’Unifil di stanza nelle vicinanze abbiano deliberatamente aperto il fuoco sul drone e lo abbiano abbattuto”, ha scritto su X il portavoce dell’esercito israeliano, il tenente Nadav Shoshani.
Una situazione che ha messo in allarme Hezbollah, che – temendo nuove azioni militari – ha già fatto sapere di essere pronto a difendersi.
Striscia di Gaza insanguinata
Ma se la situazione in Libano si aggrava di ora in ora, non va meglio nella Striscia di Gaza, dove – malgrado il cessate il fuoco – continuano a cadere le bombe. Il bilancio delle ultime 48 ore è di otto palestinesi uccisi e altri 13 feriti. Un dato che porta il totale delle vittime, dal 10 ottobre – data dell’entrata in vigore della tregua – ad almeno 93 morti e 337 feriti.
Azioni duramente condannate da Hamas, che accusa l’amministrazione di Tel Aviv di “crimini di guerra” e di tentare di far saltare l’accordo di pace. Proprio per evitarlo, e per mettere il primo ministro Benjamin Netanyahu con le spalle al muro, il capo negoziatore del gruppo palestinese, Khalil Al-Hayya, ha ribadito che il possesso delle armi da parte di Hamas è “legato alla presenza dell’occupazione e dell’aggressione”, aggiungendo che i miliziani abbandoneranno le armi “se l’occupazione finirà”.
Parole che hanno creato non poco fastidio a Tel Aviv, costringendo il ministro della Difesa, Israel Katz, ad approvare – su raccomandazione dell’Idf – la rimozione dello stato d’emergenza nel sud del Paese, entrato in vigore dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Una decisione che lascia presagire la possibilità di rendere permanente la tregua.
Tutto risolto? Nient’affatto. Sempre ieri, da Tel Aviv hanno fatto sapere che si sta valutando “la linea d’azione e la risposta da adottare in seguito al fatto che Hamas non ha consegnato alcun corpo dei 13 ostaggi tuttora nella Striscia di Gaza da martedì scorso”, sottolineando che “il tempo passa e stiamo perdendo la pazienza”.
Ma non è tutto. A preoccupare è anche – se non soprattutto – il fatto che nell’enclave palestinese, a dispetto degli accordi di pace, gli aiuti umanitari continuino a entrare con il contagocce, aggravando le già drammatiche condizioni di vita dei palestinesi. A denunciarlo è l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), secondo cui Netanyahu “continua a impedire al nostro personale internazionale e agli aiuti umanitari di entrare a Gaza”. L’agenzia ha chiesto alla comunità internazionale di fare pressioni su Tel Aviv affinché permetta immediatamente il transito di acqua, cibo e medicinali.