Se qualcuno si aspetta l’addio alla politica bellicista a seguito delle imminenti elezioni europee, allora rischia di rimanere deluso. A lasciarlo pensare è l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera, Josep Borrell, che intervenendo al World Economic Forum a Riad, in Arabia Saudita, ha detto chiaro e tondo che Bruxelles ha promesso all’Ucraina il suo sostegno fin dall’inizio della guerra e intende mantenere questo proposito sine die, ossia fino alla fine delle ostilità con la Russia.
Come dichiarato dal diplomatico “dobbiamo continuare a sostenere il popolo ucraino. Gli europei non moriranno per il Donbass, ma aiuteremo gli ucraini a smettere di morire per il Donbass”, aggiungendo che le forniture militari continueranno perché la guerra “sfortunatamente, non finirà presto”. Sembra incredibile ma queste dichiarazioni sono passate sotto silenzio sui principali organi di stampa.
Eppure si tratta di frasi che devono far riflettere perché lasciano pensare che anche se cambieranno – o potrebbero cambiare – i principali interpreti della politica europea, la linea bellicista sembra destinata a proseguire anche perché appare impossibile una vittoria dei partiti ‘pacifisti’ alle prossime elezioni. Ma la cosa più grave è che leggendo tra le righe, Borrell sembra perfino escludere che la questione sul proseguire il supporto a Kiev o meno, non sarà nemmeno discussa dall’Europarlamento perché fa parte di un patto di ferro ormai impossibile da scindere.
L’Unione europea non molla la linea bellicista
Eppure una discussione sul tema sarebbe a dir poco auspicabile perché, contrariamente a quanto i leader mondiali ripetono da tempo, la guerra con la Russia non è l’unica via. Al contrario, l’Europa più di tutti dovrebbe sapere che missili e bombe difficilmente risolveranno la situazione e che, proprio in virtù di ciò, sarebbe auspicabile che Bruxelles si ponga, come da sua indole, come forza mediatrice capace di rilanciare un dialogo tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il leader russo, Vladimir Putin.
Trattative di pace che, è bene rendersene conto, sono l’unica exit strategy da un conflitto che rischia soltanto di incancrenirsi o, peggio ancora, di allargarsi a macchia d’olio con il coinvolgimento diretto dell’Ue e della Nato. Un’eventualità che, guardando a come stanno andando le cose sul campo e le dichiarazioni di alcuni leader tra cui spiccano quelle di Emmanuel Macron che ha aperto all’invio di truppe francesi in Ucraina, appare tutt’altro che remota.
Un’altra via per l’Unione europea è possibile
Lo sanno bene i Cinque Stelle di Giuseppe Conte che, in vista delle elezioni europee, hanno inserito nel proprio simbolo la parola “pace”. Un gesto distensivo per ribadire che un’altra via, che non sia quella della guerra a oltranza che non può essere vinta visto che l’avversario è una superpotenza nucleare, è possibile. Peccato che ben pochi, soprattutto in Italia, sembrino pensarla così. A dimostrarlo sono state le parole della premier Giorgia Meloni, durante la kermesse di Fratelli d’Italia a Pescara, che ha ribadito che il suo governo è “capace di prendere decisioni anche impopolari come il sostegno all’Ucraina, lo facciamo perché vogliamo la pace.
Ma la pace si costruisce con la deterrenza e non con le bandierine in piazza o con il cinismo di chi scrive nel simbolo la parola pace”. Scettica anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, che a Sky Tg24 ha spiegato come sulla guerra in Ucraina, è necessario “sostenere il popolo invaso ma essere anche consapevoli che non bastano le armi per far cessare questo conflitto”. Poi, interpellata sul simbolo pentastellato per le elezioni dell’Unione europea, ha detto di credere che “sia difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo con l’idea di pace. Il punto è: come la costruiamo quella pace?”.