Università, il merito non paga

di Clemente Pistilli

Che fatica studiare in Italia. Non c’è politico che non assicuri di fare del tutto per frenare la fuga dei cervelli e aiutare gli studenti meritevoli. Ma se poi non c’è un papà Paperone difficilmente si va lontano. Sul sostegno agli universitari c’è un groviglio di leggi e manca soprattutto un progetto chiaro, con il risultato che si investe poco e male, lasciando i giovani alle prese con un mare di guai. Un quadro desolante, appena confermato dalla Corte dei Conti, che è andata a indagare sul fondo per il sostegno della formazione universitaria e sulla fondazione per il merito.

Buone intenzioni

Nel 2010, nell’ambito della riforma della scuola portata avanti dall’allora ministro Mariastella Gelmini, è stato istituito per gli studenti universitari il cosiddetto fondo per il merito. Risorse statali dirette a “promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti dei corsi di laurea e laurea magistrale” tramite “premi di studio, buoni studio da restituire al termine del percorso universitario e a garantire finanziamenti”. Un investimento su un progetto di lungo periodo, volto a dare vere chances ai migliori, anche se le famiglie di quest’ultimi non navigavano nell’oro. E per dare ancor più peso all’iniziativa, l’anno successivo il Miur e il Ministero dell’economia e finanze decisero di dar vita a una fondazione per il merito, che con una collaborazione tra pubblico e privato, con fondi dunque sia statali che dell’imprenditoria e con relative possibilità per gli studenti di affacciarsi già durante l’università al mondo del lavoro, avrebbe sostenuto e incentivato i percorsi formativi di eccellenza. La fondazione avrebbe inoltre dovuto colmare “la mancanza di un sistema di prestiti universitari, uniformandosi alle migliori pratiche internazionali in materia di sostegno finanziario agli studenti”. Italia più vicina all’Europa e alle migliori realtà dell’occidente che tanto investono sugli studenti universitari.

Il fallimento

Trascorsi tre anni e stanziati quasi 20 milioni di euro, il fondo per il merito è stato svuotato e la fondazione è rimasta solo sulla carta. Nell’ultimo periodo di vita del Governo Monti non è stato infatti firmato dallo stesso premier, nella veste di ministro dell’economia, il decreto per far partire la fondazione e lo scorso anno, con il decreto del fare, il Governo Letta ha preso 17 milioni del fondo per il merito destinandoli alle borse di studio cosiddette di mobilità, quelle per gli studenti che frequentano atenei fuori dalla loro regione. Due iniziative che hanno di fatto cancellato il progetto diretto ai migliori voluto dalla Gelmini senza proporne uno alternativo.

 Le bacchettate

La Corte dei Conti, indagando su fondo e fondazione, ha appurato che la materia è prigioniera di un groviglio di leggi e che non c’è chiarezza sul futuro. Nella relazione trasmessa dai giudici alle Camere, chiedendo provvedimenti nel giro di sei mesi, la prima bacchettata è andata al Ministero dell’economia e finanze, attualmente retto dal ministro Fabrizio Saccomanni, che non ha fornito risposte alle richieste dei magistrati e impedito in tal modo lo stesso “regolare esercizio delle funzioni della Corte”. Le spiegazioni date dal Miur, guidato dal ministro Maria Chiara Carrozza, non sono state ritenute sufficienti. E la Corte dei Conti è stata chiara: “Rimane da chiarire se sussiste ancora l’interesse del Mef all’istituzione della fondazione per il merito, oppure in quale diversi termini si voglia proseguire nell’originario progetto, che prevede l’impiego di risorse, prevalentemente private, per premiare i capaci e meritevoli e non anche i privi di mezzi”. Mancando indirizzi chiari, i giudici hanno poi raccomandato ai Ministeri e al Parlamento di assicurarsi del numero dei beneficiari degli aiuti, altrimenti si rischia di fare promesse agli studenti e poi di non avere le risorse finanziarie per tenere fede agli impegni presi. Senza contare che sarebbe poi necessario vigilare su cosa fanno gli studenti dopo aver ricevuto gli aiuti. Per la Corte dei Conti si dovrebbe prevedere “l’ipotesi della restituzione delle borse di studio se non si prosegue in maniera soddisfacente nello studio, oppure se si interrompono gli studi”. Qualcosa va fatto e in fretta. Altrimenti tutto finirà nei soliti sprechi e la fuga dei cervelli diventerà sempre più un esodo. “Il quadro normativo – hanno specificato i magistrati contabili al termine dell’indagine – evidenzia una mutevolezza che non è assolutamente coerente con la complessità e la delicatezza della materia che deve trattare: il diritto allo studio”. E ancora: “All’incertezza del quadro normativo si aggiunge la riserva che riguarda le risorse finanziarie disponibili, convogliate verso un programma o un altro, senza però che i programmi stessi siano l’obiettivo di un piano sistematico e organizzato di sostegno e attuazione del diritto allo studio”. Insomma l’ennesima occasione persa e il solito tira a campare senza pensare al domani.

Un progetto c’è. E’ in una fase sperimentale, ma esiste. Ed è quello relativo alla stabilizzazione delle borse di studio. Occorrerà vedere quali risultati darà e poi si inizierà a progettare il futuro. Risponde così alle critiche della Corte dei Conti, messe nero su bianco nella relazione sul fondo e la fondazione per il merito, il sottosegretario al ministero dell’università, Gian Luca Galletti.

I risultati

L’esponente dell’Udc, che alla Camera sostituì il leader Pier Ferdinando Casini come capogruppo e che si era candidato come governatore dell’Emilia Romagna, rivendica la bontà dell’operato del Governo Letta per aiutare gli studenti universitari meritevoli. L’esecutivo, l’estate scorsa, con il decreto del fare ha destinato 17 milioni del fondo per il merito alle borse di studio per la mobilità interregionale. “Siamo riusciti – assicura il sottosegretario Galletti – in due interventi importanti. Abbiamo stabilizzato le borse di studio, che ora sono triennali e non più annuali, dando la priorità alla certezza per gli studenti che accedono a quel regime di poterci contare almeno per tre anni e di non rischiare più di avere un aiuto e poi di vederselo revocare l’anno successivo. Le borse, inoltre, le abbiamo estese anche alle accademie d’arte e ai conservatori”. Svuotato il fondo voluto dalla Gelmini e lasciata nel limbo la fondazione che doveva gestirlo, portando agli universitari capitali anche privati, cosa intende però fare ora il Governo di quel progetto? “A breve – precisa il sottosegretario al ministero dell’istruzione – cominceremo a discutere della fondazione per il merito e vedremo cosa fare”. Il progetto della Gelmini sembra comunque ormai cestinato dalle larghe intese, che sembrano puntare tutto sulle borse come sostegno agli studenti.

Il futuro

“Vogliamo dare continuità allo strumento rappresentato dalle borse di studio. Vedremo come funzionerà e poi decideremo cosa fare”, dichiara Galletti. Al momento, però, i fondi sono solo per quanti si sono immatricolati nell’anno accademico 2013-2014 e le coperture previste fino al 2015. Dopo cosa accadrà e cosa devono attendersi gli altri studenti? “La progettazione sull’interregionalità è partita – ribadisce il sottosegretario – e andremo avanti”.

La rabbia dell’ex ministro Gelmini

Pappagallina, maestrina, la beata dell’ignoranza. L’ex ministro dell’istruzione Gelmini è stata definita così dai suoi detrattori. Un panzer da chi ne ha apprezzato la forza nel portare avanti una riforma difficile come quella della scuola. Nel bene o nel male una politica determinata, che nelle scelte fatte ci ha messo la faccia e ha portato avanti con caparbietà un progetto di ristrutturazione complessiva dell’istruzione, da quella di base all’università, puntando su quello che è un chiodo fisso per l’esponente di Forza Italia: il merito. Dopo accuse e proteste, in silenzio e piano piano la riforma dell’attuale deputata azzurra è stata però smontata e un esempio è proprio quello del fondo e della fondazione per il merito mandati al macero senza troppo rumore.

La critica

“Da un lato – ci dichiara l’ex ministro dell’istruzione – si tagliano fondi per il merito e dall’altro si stabilizzano i precari. La coperta è stretta, lo era prima e lo è oggi. Difficile trovare risorse per tutto. Noi avevamo adottato dei criteri omogenei, avevamo detto no al vecchio sistema delle stabilizzazioni che porta poi a vedere che manca denaro per finanziare il merito. Occorre mettere al centro lo studio. Il tempo delle stabilizzazioni è superato”. No dunque dall’onorevole forzista al continuo ampliamento della pianta organica lasciando gli studenti migliori senza risorse. No a un simile modo di procedere da parte di chi da anni si spende per arrivare a un sistema meritocratico, tanto da redigere un progetto di legge per “la promozione e l’attuazione del merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione”. E la risposta all’affossamento della fondazione per il merito per Mariastella Gelmini è chiara: “C’è ogni anno uno scambio tra il Ministero dell’economia e finanze e le borse di studio. Non è però più tempo dei piccoli passi. Vanno fatte correzioni e tagliati gli sprechi, si deve puntare sulla riqualificazione del personale e sul riconoscimento economico per chi lavora bene. Non si può andare avanti con la stabilizzazione dei precari tanto per tenere i rapporti con i sindacati. Non c’è piena consapevolezza delle conseguenze di tali azioni. I tagli del passato vanno capitalizzati, servono a rivedere la pianta organica, a pagare di più i migliori. Inutile aumentare il numero degli insegnanti per poi pagarli poco o affatto, perdendo soprattutto risorse per gli studenti.

La rivendicazione

L’ex ministro era e resta convinta della bontà della sua riforma. “Noi abbiamo fatto scelte impopolari – sottolinea Mariastella Gelmini – ma dettate da scelte chiare, non quantitative ma qualitative, basate sulle competenze e sul merito. Il nostro progetto è stato finalizzato a tagliare il personale, rivedere i fabbisogni e reinvestire i risparmi ottenuti sugli studenti migliori. Da parte di questo Governo non c’è invece pianificazione, non c’è programmazione”.

L’affondo

Mariastella Gelmini non fa sconti alle scelte fatte dall’esecutivo sulla scuola e ritiene che molti problemi siano il frutto delle posizioni tenute in passato dal Pd. “Il Partito democratico – afferma l’esponente azzurra – si è caratterizzato per una polemica violenta e brutale contro la riforma. Oggi che è al Governo deve dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Non possono rimangiarsi la loro demagogia e cercano così di accontentare i precari, togliendo risorse alla qualità. Non è un Governo del decidere, ma un Governo che si fa trascinare dalla Ragioneria. C’è grande confusione. Proseguire nel processo avviato da noi era l’unica strada possibile. Si fa così in tutta Europa. Ma questo è un Governo che non fa e tira a campare. Non è di questo che hanno bisogno l’Italia e la scuola, il patrimonio più importante”. Intanto, sparita di fatto la fondazione, sono spariti anche i fondi dei privati e la possibilità per gli studenti universitari di stabilire un contatto proficuo con l’imprenditoria già durante gli studi. “Viene meno – sottolinea la Gelmini – il modello Lombardia, che si propone di creare sinergie tra pubblico e privato. Per fortuna però, nonostante la miopia del Governo, in Italia stanno prendendo corpo numerose iniziative di formazione che vedono coinvolti direttamente gli imprenditori. Penso a quanto sta facendo Cucinelli del cachemire, al distretto del legno, a tante realtà che coinvolgono finanziatori privati. Sono grandi opportunità per i giovani. Gli aiuti di Stato dovrebbero esserci, ma dovrebbero essere strumenti esclusivamente sussidiari”.