Uno squarcio di verità sulla strage di Via d’Amelio a 26 anni dalla morte di Borsellino e cinque agenti della scorta. Il depistaggio accertato dalla sentenza

Ventisei anni fa furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta

Anniversario numero 26 diverso rispetto alla cupa sensazione di ingiustizia e di impotenza che ha caratterizzato fino ad oggi le tristi ricorrenze del 19 luglio 1992, il giorno della strage di Via D’Amelio, dove morì il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. C’è l’attesa di una svolta annunciata. Non vi sono più soltanto sospetti e ombre. Questa volta, come hanno evidenziato le 1.865 pagine di motivazioni della recente sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta al processo Borsellino quater, ci sono le impronte di uno Stato parallelo, di una inconfessabile realtà criminale riconducibile a apparati istituzionali, che per carità di Patria vengono definiti deviati, dietro la strage imperfetta di Via D’Amelio. Imperfetta perché evidenzia tracce e responsabilità concrete che consentono di risalire alle complicità fra la mafia e alti esponenti degli apparati investigativi e dei servizi di sicurezza. Convergenze, interventi e complicità che si percepiscono o peggio si toccano con mano anche nelle inchieste per l’assassinio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, del caso Moro, l’uccisione del generale Dalla Chiesa, l’agguato a Pio La Torre, la strage Chinnici, l’attentato di Capaci.Tanti buchi neri che fanno temere che in molte occasioni lo stato parallelo possa essersi sovrapposto alla mafia e al terrorismo. Attorno all’inchiesta su Via D’Amelio, ha denunciato la Corte d’Assise nissena presieduta da Antonio Balsamo, giudice a latere Janos Barlotti, si è consumato “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.

“I magistrati ritengono che vi siano stati degli ispiratori e dei manipolatori del falso pentito Scarantino”, spiega l’inviato del quotidiano La Repubblica, Salvo Palazzolo, scrittore e giornalista fra i più impegnati nella ricerca della verità sulle stragi del 23 maggio e del 19 luglio 1992. Cui prodest? A vantaggio di chi avrebbe depistato quello che per anni è stato considerato un superpoliziotto? “Il caso più eclatante è che a Scarantino venne suggerito di parlare di una Fiat 126. Si trattava della vera autobomba, come confermerà Spatuzza nel 2008. Come facevano a saperlo? Chi suggerì al suggeritore?”. Via D’Amelio e Capaci, due stragi ancora avvolte da troppe zone d’ombra. “Credo che la chiave del mistero sia nelle parole rubate: dopo l’eccidio di Capaci, qualcuno entrò nell’ufficio di Falcone, al ministero della Giustizia, per manomettere i suoi computer e far scomparire un diario – prosegue Palazzolo –. Dopo la bomba di Via D’Amelio, fecero invece scomparire l’agenda rossa di Borsellino. E non agirono certo i mafiosi, ma uomini con un distintivo in tasca, non sappiamo ancora quale”.

Insomma, un legame occulto fra terrorismo mafioso, politica e apparati deviati e non su cui pendono ancora molti interrogativi. “Questa è una storia di grande attualità, che ruota attorno a Matteo Messina Denaro, il capomafia che conosce il segreto delle stragi, per avervi partecipato – conclude Palazzolo –. La sua latitanza, che dura ormai dal giugno 1993, è l’espressione più drammatica di quei legami occulti, che significano protezione e nuovi affari. Legami occulti che legano passato e presente dell’organizzazione mafiosa”. Assieme alle nuove indagini, a rendere diversa la prospettiva del 26° anniversario della strage Borsellino si aggiungono due elementi di notevole spessore. Il primo è la determinazione, l’intransigenza e la forza d’animo con cui i tre figli del magistrato, Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino, chiedono venga fatta luce sulla strage. Una richiesta che muove esclusivamente da sentimenti di giustizia e non di vendetta. Come hanno evidenziato i colloqui che Fiammetta ha avuto in carcere con due dei presunti assassini del padre, i boss Filippo e Giuseppe Graviano. L’altro aspetto riguarda la speranza e l’attesa per la visita del 15 settembre a Palermo di Papa Francesco. Bergoglio commemorerà il 25° anniversario dell’assassinio del Beato don Pino Puglisi, un sacerdote missionario fatto assassinare dai fratelli Graviano perché col Vangelo in mano educava alla non violenza e al rifiuto di cosa nostra gli scolari e i giovani delle periferie palermitane ostaggio della mafia. La speranza è che il vibrante appello al pentimento che Papa Francesco rivolgerà ai mafiosi, il forte impatto carismatico e la straordinaria capacità del Pontefice di convertire scettici, atei, cinici e criminali, possano davvero avviare una nuova e straordinaria stagione di pentimenti fra i boss.

*in collaborazione con Italpress