Guantanamo non è più solo l’incubo dei sospetti terroristi. È il simbolo di un’America che si prepara a trasformare la detenzione extragiudiziale in strumento di politica migratoria. Il Washington Post ha rivelato che l’amministrazione Trump intende trasferire nella base militare cubana 9.000 migranti irregolari. Tra loro, anche centinaia di cittadini europei e almeno due italiani.
Le autorità statunitensi non avvertiranno i governi alleati, compresa l’Italia. Lo ha confermato la portavoce del Dipartimento di Stato, Tammy Bruce: “Non parliamo di singoli Paesi. Guantanamo non è la destinazione finale, ma una tappa prima del rimpatrio”. Un linguaggio che suona come una giustificazione diplomatica a una violazione dei diritti fondamentali. Il Dipartimento si limita a precisare che si tratta solo di migranti “con precedenti penali”, ma non fornisce prove, elenchi o garanzie.
Il piano, spiega il Post, serve a decongestionare i centri di detenzione interni, in crisi dopo l’annuncio di Trump della “più grande operazione di deportazione della storia americana”. E l’Italia è dentro. Senza essere stata avvertita. Senza poter intervenire.
Il silenzio e il nervosismo del governo
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha provato a rassicurare: “Nessun italiano sarà portato a Guantanamo. Siamo pronti a rimpatriarli”. E secondo quanto riferito da fonti della Farnesina, sarebbero solo due i cittadini italiani presenti nella lista dei 9.000 migranti irregolari: uno è già stato espulso dagli Stati Uniti, l’altro è in via di espulsione verso Roma.“L’Italia è disposta a riprendere gli irregolari nel pieno rispetto dei loro diritti”, ha dichiarato Tajani a Rtl 102.5, aggiungendo che “non c’è da allarmarsi” e che “nessun connazionale finirà a Guantanamo”.
Tajani ha inoltre precisato che, secondo le prime informazioni fornite dal Dipartimento per la Sicurezza nazionale Usa, la struttura cubana sarebbe destinata solo ai migranti provenienti da Paesi che si rifiutano di accettare i rimpatri. L’Italia, invece, “ha già detto da tempo all’amministrazione americana che è pronta a riprendere i propri cittadini irregolari”, ha insistito il ministro. Una telefonata è in programma con il segretario di Stato, Marco Rubio, conferma Tajani: “Affronterò anche questa questione”, mentre ambasciata e consolati sarebbero già al lavoro.
Il nervosismo delle opposizioni e l’impasse del governo
A sinistra, le opposizioni chiedono una comunicazione immediata in Aula. Ivan Scalfarotto definisce “intollerabile” il fatto che Tajani commenti la vicenda sui media e non al Parlamento. Riccardo Magi accusa Trump di “copiare il modello Albania di Meloni”. Angelo Bonelli parla di “disprezzo verso i diritti dei cittadini italiani”. Anche Giuseppe Conte è intervenuto: “Il governo deve accertare subito le condizioni degli italiani coinvolti e disporre il loro immediato rientro”.
Matteo Salvini, invece, prende le difese di Trump: “Se il presidente degli Stati Uniti garantisce la sicurezza fa il suo mestiere. Mi stupisco dello stupore”, ha dichiarato il vicepremier leghista. Eppure da Palazzo Chigi nessuna parola. Giorgia Meloni, che si era spesa in un accorato elogio dell’alleanza atlantica nel suo discorso al Congresso, oggi tace. Anche di fronte al rischio che connazionali vengano detenuti senza processo in una base militare statunitense.
Il punto è tutto qui: la destra italiana ha costruito la propria propaganda su un’idea selettiva di cittadinanza e di diritti. Ma ora che i “clandestini” hanno un passaporto italiano, la macchina retorica si inceppa. Nessuno ha il coraggio di sfidare l’amico Trump. Nemmeno per difendere cittadini italiani.
Una cartolina dall’America che smentisce tutto
Il paradosso è brutale. Mentre la destra italiana festeggia il fallimento del referendum sulla cittadinanza, gli Stati Uniti trattano cittadini italiani come deportabili, come clandestini. E lo fanno in nome di una guerra ideologica contro l’immigrazione che i nostri governi non solo non contrastano, ma spesso imitano.
Il rischio non è solo quello di un incidente diplomatico. Ma anche quello di dare l’immagine di un’Italia che non sa farsi rispettare. Il silenzio di Meloni e la difficoltà di Tajani raccontano più di mille comunicati. È il prezzo della sudditanza politica. È la fotografia di una destra che si scopre impotente proprio quando le sue narrazioni si ribaltano contro chi le ha create.
Se l’alleanza atlantica diventa una relazione senza reciprocità, allora il problema non è Guantanamo. È Roma. E chi la rappresenta.