La tornata di elezioni regionali del 2025, che inizialmente appariva favorevole al centrosinistra, si è trasformata in una prova a ostacoli per l’intera opposizione. Il modello del “campo largo”, indicato da molti come strategia vincente dopo la vittoria unitaria in Sardegna, ha mostrato limiti strutturali già nelle sconfitte in Abruzzo e Basilicata. La successiva “doppietta” in Emilia–Romagna e Umbria ha ridato fiato al Pd, ma ha anche evidenziato la sproporzione nei rapporti di forza: mentre il Partito democratico toccava il 41%, il M5S restava sotto soglia.
Il quadro che ne emerge è disomogeneo. L’alleanza si dimostra più solida quando il Movimento 5 Stelle rivendica una propria centralità, più fragile quando viene percepito come semplice supporto. È una dinamica che condiziona le trattative in tutte le regioni al voto: non c’è un equilibrio stabile, ma un continuo negoziato su nomi, programmi e ruoli. Il “campo largo”, più che un progetto politico, appare come un’intesa tattica variabile, piegata a convenienze locali e rapporti di forza mutevoli.
La mina interna del Partito democratico
A rendere il percorso ancora più accidentato sono le divisioni interne al Partito democratico. La linea tracciata da Elly Schlein – netta, progressista, orientata su giustizia sociale e climatica – trova resistenze profonde tra i dirigenti di lungo corso e negli amministratori locali. In Puglia, il conflitto tra il presidente uscente Michele Emiliano e la presidente del Consiglio Regionale Loredana Capone si è trasformato in un caso giudiziario interno, con un esposto in Procura che ha paralizzato il partito.
In Campania, la transizione post-De Luca è segnata da equilibri instabili: l’accordo su Roberto Fico come possibile candidato arriva solo dopo trattative riservate e precise garanzie sulla continuità programmatica. Anche qui, la gestione delle alleanze passa attraverso la sopravvivenza politica dei potentati locali, che condizionano la segreteria nazionale. In Toscana, Eugenio Giani è sotto assedio per le infrastrutture strategiche e per le perplessità sollevate internamente allo stesso Pd.
La tenuta del partito risente della frattura mai sanata tra l’elettorato che ha sostenuto Schlein alle primarie e gli iscritti che avrebbero preferito Bonaccini. Il risultato è un partito attraversato da diffidenze reciproche, in cui ogni scelta strategica rischia di trasformarsi in contesa identitaria.
Equilibri precari e incognite locali
Sul piano territoriale, ogni regione rappresenta un caso a sé. Nelle Marche, l’inchiesta “Affidopoli” che coinvolge Matteo Ricci ha congelato l’alleanza, mettendo in discussione una candidatura fino a quel momento considerata forte. Il Pd si trova ora nella posizione di dover decidere se confermare Ricci (che ieri ha replicato ai 5 Stelle: “I cinquestelle hanno giustamente chiesto di vedere le carte, cosa che ho fatto. Ho spiegato le mie ragioni. Non credo di dover prendere lezioni di onestà da parte di nessuno, su questi temi abbiamo gli stessi valori. In quindici anni di attività politica non ho mai avuto problemi”), esponendosi al rischio politico, o cercare un’alternativa a pochi mesi dal voto. In Puglia, l’assenza di un nome condiviso e la guerra aperta tra le componenti del partito lasciano spazio al M5S per rivendicare la guida della coalizione.
In Campania, l’intesa tra Schlein e De Luca ha permesso di riaprire il dialogo con il Movimento 5 Stelle, ma l’accordo resta fragile: pesano le condizioni poste sul piano programmatico e la possibilità che l’ex governatore giochi partite parallele con una propria lista civica. In Toscana, la candidatura di Giani è ancora oggetto di trattative: le richieste del M5S su ambiente e grandi opere si scontrano con le linee dell’attuale amministrazione e con i timori del mondo imprenditoriale.
In questo contesto, le elezioni regionali diventano molto più di una consultazione locale: sono un test per la segreteria Schlein, una verifica degli equilibri interni al centrosinistra e, soprattutto, un laboratorio nazionale della futura opposizione. Non è in gioco solo la somma dei voti, ma la tenuta di una proposta alternativa al centrodestra capace di presentarsi credibile, coesa e riconoscibile. E il tempo per dimostrarlo si sta esaurendo.