Vietato criticare Mazzoncini, l’amministratore delle Ferrovie che sbaglia ancora. Più facile attaccare Delrio che il potente boiardo di Stato

Vietato criticare Mazzoncini, l'amministratore delle Ferrovie che sbaglia ancora. Più facile attaccare Delrio che il potente boiardo di Stato

Miracoli del vero potere italiano. La stessa nevicata che nei giorni scorsi ha coperto le città, prima ancora che la fragilità dei nostri trasporti ha messo allo scoperto chi in questo Paese conta davvero. No, smettiamola di pensare alla politica, ai ministri e ai partiti, ma prendiamo atto che ci sono amministratori di grandi aziende pubbliche diventati intoccabili. Qualunque cosa accada. La politica, che ogni tre anni nomina non si capisce con quanta libertà questi signori, è semmai il loro parafulmine, buona a prendersi gli insulti per i disservizi creati da chi doveva gestire le cose e non l’ha fatto. La vicenda dei treni andati in tilt alla prima gelata è in questo senso esemplare. Migliaia di persone sono rimaste bloccate perché la manutenzione della rete ferroviaria non era minimamente all’altezza. Un problema emerso drammaticamente poco più di un mese fa con l’incidente alle porte di Milano, dove un convoglio è uscito dai binari facendo tre morti. Sui giornali sono partiti missili contro il ministro Delrio, ricerche affannose dei responsabili della rete ferroviaria, analisi in lungo e largo, ma ad eccezione di questo e pochissimi altri giornale si è chiamato in causa l’amministratore delegato delle Fs, cioè colui che sta a monte di un sistema dove evidentemente non si è fatto tutto quello che si doveva. Dunque si mette sul banco degli imputati persino il ministro, che in fin dei conti non si occupa in prima persona dei servizi, e si fa finta di niente su chi ha la precisa responsabilità di gestire il trasporto ferroviario.

Eppure l’amministratore delegato Renato Mazzoncini è sotto osservazione sin dalla sua nomina, arrivata a detta di molti troppo presto e più per vicinanza al giglio magico dell’allora premier Matteo Renzi che per il curriculum in cui spiccavano le esperienze all’azienda dei bus delle Fs e alla guida dell’ex municipalizzata del trasporto pubblico di Firenze. Non certo tantissimo per giustificare il salto al timone nientepopodimeno che delle Ferrovie. Il Ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, azionista unico dell’azienda, gli aveva dato un preciso mandato: iniziare a privatizzare quello che in passato è stato un carrozzone pubblico emblema dello statalismo in economia. E per questo gli si è messa in mano una società molto diversa dal passato, quando i treni non si sapevano quando partivano e meno che meno quando arrivavano.

La sberla di Italo – Grazie a investimenti pubblici miliardari e all’intuizione di un manager visionario come Lorenzo Necci, oggi abbiamo un’Alta velocità che ha battuto su molte tratte la concorrenza dell’aereo, e che produce utili. L’obiettivo di portare in Borsa le Fs o almeno la sola gallina dalle uova d’oro dell’Alta velocità è stato però clamorosamente mancato da Mazzoncini, mentre i concorrenti privati di Italo hanno venduto (facendo un sacco di soldi) a un Fondo Usa un minuto prima di quotare la società a Piazza Affari. Invece di guardare al mercato, le Fs di Mazzoncini allora hanno guardato al pubblico, spingendo su un processo di fusione con l’Anas che ha creato l’ennesimo mostro industriale al cento per cento statale. Mentre nel mondo le aziende si specializzano, qui mettiamo sotto un unico cappello strade, ponti e ferrovie. E pazienza se poi non sappiamo fare davvero bene niente. Con la nevicata però abbiamo toccato il fondo, e qui c’era da aspettarsi che almeno sui giornali montasse una riflessione su come sono gestite le ferrovie. Invece niente. Si è mandato letteralmente allo sbaraglio l’amministratore di Rfi, Maurizio Gentile, facendogli ammettere che non si fanno cento milioni di manutenzioni a fronte di investimenti (ma per fare cosa, allora?) di oltre 2,6 miliardi. L’ira di qualche opinionista si è abbattuta su Delrio, ma di chiedere a Mazzoncini il conto non se ne parla. D’altra parte, i nostri manager pubblici conoscono bene il proverbio siciliano “calati juncu ca passa la china”, cioè abbassati giunco che dopo esser passata la piena tutto tornerà come prima.

Ne sanno qualcosa a proposito di Ferrovie l’ex Ad Mauro Moretti, che pur accusato di strage fu nominato Ad di Finmeccanica, o i manager dell’Enel Francesco Starace e Carlo Tamburi, accusati persino dai presidenti delle Regioni di aver lasciato l’inverno scorso l’Abruzzo e il Molise per giorni senza energia, sempre per carenze nella manutenzione. Pochi mesi dopo ci furono le nomine pubbliche e i due furono confermati come se niente fosse accaduto. Monumenti viventi a quanto il merito in questo Paese non conti nulla. Situazioni al limite, che non risparmiano l’Eni, dove pendono gravi accuse sul capo azienda Claudio Descalzi.

Ma perchè quello che in altri Stati sarebbe considerato inaccettabile qui non indigna nessuno? Perchè questi boiardi nominati dalla politica di fatto poi non rispondono che a loro stessi e solo ai potenti di turno che li hanno mandati per concessione personale a dirigere le aziende pubbliche. Piccoli monarchi che i grandi giornali pieni della loro pubblicità si guardano dal criticare, e alle poche testate che pongono domande reagiscono in qualche caso rispondendo sempre, come fa l’Eni, oppure non rispondendo e intimidendo con citazioni per centinaia di migliaia di euro, come ha fatto invece l’Enel con La Notizia.