Autostrade della vergogna. Falsi report sulle manutenzioni dei ponti a rischio. Ora basta con i privilegi. Lo Stato può voltare pagina

Il titolo di Atlantia, la holding dei Benetton che controlla Autostrade per l’Italia, ieri è crollato in Borsa. La vera notizia, però, non è tanto questa, e nemmeno i nuovi arresti dopo la sciagurata manutenzione del Ponte Morandi venuto giù un anno fa, quanto l’incredibile resistenza del concessionario di un bene pubblico nel tenere in scacco proprio chi gli ha affidato quel bene. In un normale rapporto tra privati, il susseguirsi di eventi disastrosi come i 40 morti del 2013 sul viadotto Acqualonga di Avellino o i 43 morti di Genova, sarebbero argomenti più che sufficienti a dare il benservito a chi non è stato in grado di garantire la sicurezza dei cittadini. A maggior ragione in un contratto con lo Stato, il gestore di un servizio dovrebbe rispondere immediatamente dei fatti di una tale gravità, e se non può farlo in modo credibile, accettare in silenzio la risoluzione del contratto.

E se è indecoroso che ad Autostrade per l’Italia tutto questo non passi neanche dalla testa, è inaccettabile che lo stesso concessionario continui a fare affari d’oro a fronte di nuovi comportamenti ritenuti illeciti dalla magistratura. L’inquinamento delle prove sulla stabilità di altre infrastrutture dopo la tragedia del ponte Morandi è di una gravità persino superiore alla carente sorveglianza del colosso di cemento crollato sui genovesi, perché afferma un modo di operare sleale prima di tutto verso le vittime di quel tristissimo ferragosto. E non solo. L’arroganza di una società dove i top manager all’epoca del disastro sono ancora ai loro posti, è esposta esattamente quanto il tradimento della promessa di voler fare chiarezza. Lo Stato è trattato come un cameriere, e i cittadini anche peggio. A ogni latitudine.

TROPPI INCIDENTI. Come si può definire, d’altra parte, l’evoluzione dell’inchiesta sul bus precipitato ad Acqualonga per l’inadeguatezza del guard rail? A maggio scorso i magistrati hanno sequestrato le barriere di protezione della stessa e di altre tratte, perché giudicate non conformi in caso d’incidente, e indagato alcuni funzionari di Autostrade già condannati in primo grado. Le procedure amministrative, si dirà, impongono tempi lunghi e il concessionario controllato dai Benetton ha il pieno diritto di tutelare un contratto per il quale ha fatto rilevanti investimenti. Ma ogni contratto, anche quelli capestro e scritti sotto dettatura, hanno un limite oltre il quale sono nulli e persino buoni per chiedere di risarcire i danni.

Per questo motivo cominciano a diventare sospetti quegli esponenti politici o tecnici che continuano ad arrampicarsi sui muri per difendere la concessione in mano ad Autostrade per l’Italia. La storia di questo contratto è in fin dei conti tutta un oggetto misterioso. basti ricordare che i termini economici sono stati tenuti in parte segreti fino alla caduta del ponte di Genova, e se non fosse stato per il ministro Toninelli e la pressione dei Cinque Stelle forse non conosceremmo ancora i dettagli tenuti nascosti agli italiani in nome di presunte ragioni di sicurezza nazionale. Con questa scusa si era nascosto per anni che Benetton e tutti gli altri signori dei caselli hanno strappato allo Stato margini di rendimento garantito senza paragoni con altri settori industriali. Inoltre, ai lauti guadagni, gli stessi concessionari possono aggiungere gli utili delle società infragruppo alle quali è assegnata una grossa fetta dei lavori di manutenzione, poi pagati dagli automobilisti con i loro pedaggi.

VINCA IL MERCATO. QUELLO VERO. Lo Stato imprenditore, si dirà, ha dimostrato di essere meno capace dei privati. E questo è vero. Così com’è vero che il know how industriale di gruppi specializzati garantirebbe il miglior servizio possibile al giusto costo. Ma è proprio qui che il modello italiano si blocca. I concessionari stanno beneficiando da anni di condizioni inique per gli automobilisti, che assicurano a Benetton e tutti gli altri guadagni stellari grazie alle tariffe applicate in accordo col Governo. Una situazione dalla quale si può uscire solo in un modo, cominciando a revocare i contratti dove non sta scritto che debbano morire decine di persone sotto i ponti, e poi rimettendo a gara le concessioni. A questo punto lo Stato potrà dettare le sue condizioni in termini di sicurezza, manutenzioni, personale da far lavorare e margini dell’impresa privata. E se l’offerta migliore sarà di Autostrade questa vincerà ancora, ma stavolta garantendo tutti noi e non solo i suoi azionisti.