Case per anziani a Milano. Fino a marzo senza protezioni. Per i pm non fu imposto l’obbligo delle mascherine. E diversi pazienti furono accolti senza fare i tamponi

Pezzo dopo pezzo, iniziano ad incastrarsi i tasselli dell’inchiesta sui decessi nelle case di cura della Lombardia. Cliniche per anziani diventati focolai del covid-19 a causa di quella che appare come una lunga serie di errori. Basti pensare che l’ultima scoperta è stata quella relativa alle mascherine che fino a metà marzo, ossia per oltre tre settimane dallo scoppio dell’epidemia a Codogno, nelle cliniche risultavano un miraggio.

La circostanza, già denunciata dai dipendenti, ha trovato conferma nell’assenza di indicazioni che raccomandassero a tutti gli operatori, e di conseguenza alle strutture, di usare le mascherine, dato che nelle disposizioni regionali, nazionali, internazionali si parlava di utilizzo nell’assistenza di pazienti Covid o casi sospetti, ma non nel rapporto con tutti gli ospiti. Peccato che nelle case di cura, proprio in quelle terribili settimane e come emerge dalla carte, oltre ai malati covid-19 dismessi dagli ospedali per effetto della delibera dell’8 marzo firmata da Giulio Gallera (nella foto), sono stati accolti anche anziani nel reparto Pringe, pronto intervento geriatrico, senza che questi avessero effettuato alcun tampone.

LA CATENA DI COMANDO. Si tratta di uno dei nodi principali dell’inchiesta tanto che i magistrati, in queste ore, sono a lavoro nel tentativo di ricostruire la catena di decisioni prese tra Regione Lombardia, Azienda tutela salute (Ats, ndr) e residenze sanitarie assistenziali. Lo scopo di questi controlli è accertare chi ha preso le decisioni, come sono state interpretate ed applicate e, eventualmente, se ci sono responsabilità penali nella diffusione dei contagi. Si tratta di un lungo lavoro di incrocio di documenti, email e messaggi, raccolti negli ultimi giorni durante le perquisizioni e le acquisizioni che hanno riguardato anche il Pirellone oltre agli uffici dell’Ats di Milano.

Ma c’è di più perché questa analisi documentale dovrà far luce anche su altri fronti giudiziari aperti oltre a quello sull’uso delle mascherine. In particolare si guarderà a come e se sono stati effettuati i tamponi, quali sono state le possibilità di ingresso dei parenti nelle strutture, come sono stati gestiti i trasferimenti di pazienti dagli ospedali nelle case di cura e anche come sono avvenuti gli spostamenti interni dei malati tra i reparti.

DICHIARAZIONE INCREDIBILE. In questa lunga serie di apparenti errori, ancora tutti da chiarire da parte della magistratura, non possono che far effetto le dichiarazioni spesso spiazanti dell’assessore al Welfare della Lombardia Gallera. Nonostante i dati agghiaccianti che quotidianamente racconta di una strage che non ha eguali nella storia italiana, con le inchieste che si susseguendo in tutta la regione, il fedelissimo di Attilio Fontana ieri si è letteralmente auto assolto dichiarando: “La delibera la farei per il bene dei miei concittadini, rispetto alle polemiche che sono sorte dopo forse era meglio lasciare che 150 persone non trovassero posto in un ospedale tanto, purtroppo, i decessi sul territorio sono stati tanti e io oggi sarei meno sotto le polemiche. Però visto che sono un amministratore con l’unico obiettivo di salvare la vita alle persone, io quella delibera la rifarei”.

Non solo, l’assessore ha pure respinto al mittente tutti i presunti errori nella gestione dei casi di covid-19 nelle case di cura della Lombardia sostenendo che “i controlli ci sono stati, le Ats avevano questo compito di fare la sorveglianza, adesso stiamo andando a verificare situazione per situazione” e che la Regione ha “agito con tempestività perché il primo caso è il 20 febbraio notte” e “la prima direttiva sui parenti è il 23, il 27 ne diamo un’altra”.