Datagate, la dormita del garante della privacy

di Stefano Sansonetti

Anni di convegni, seminari e incontri con le Autorità di mezzo mondo. Ma soprattutto la partecipazione a numerosi organismi internazionali che proprio della sicurezza delle telecomunicazioni e della protezione dei dati fanno il loro core business. Senza contare che all’interno di alcuni di questi istituti spicca la partecipazione degli Stati Uniti. Possibile che il Garante italiano della privacy, così come altri centri istituzionali del Belpaese, sapessero poco o nulla dello spionaggio portato avanti dalla Nsa, ovvero l’americana National Security Agency? Nell’allarmata lettera che qualche giorno fa Antonello Soro, capo dell’Authority per la protezione dei dati, ha mandato al premier Enrico Letta, si dice che “il problema delle attività di spionaggio della Nsa rende indispensabile che il governo accerti, con tutti gli strumenti utili, se la raccolta, l’utilizzo e la conservazione di informazioni relative alle comunicazioni telefoniche e telematiche abbia coinvolto anche i cittadini italiani”. Preoccupazione comprensibile.

Le partecipazioni
Si dà però il caso che il nostro Garante, e certo non da oggi, partecipi a una corposa serie di organismi internazionali in cui certi temi, in un modo o nell’altro, vengono fuori. L’Autorità italiana, per esempio, partecipa al Comitato del Consiglio d’Europa che si occupa proprio di protezione dei dati personali. Dallo stesso Comitato è scaturita l’idea di celebrare il “Data protection day”, ossia la giornata internazionale della protezione dati. Ancora, il nostro Garante partecipa ai lavori del Working Party on Information Security and Privacy, un gruppo di lavoro interno all’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico di cui fanno parte anche gli Stati Uniti. L’organismo in questione si riunisce due volte l’anno e i suoi filoni di interesse prevalenti, come si apprende dal sito internet, “attengono alla sicurezza delle reti e alla privacy con particolare riferimento alla attività economiche on line”. Per non parlare del fatto che l’Authority nostrana fa parte del “Gruppo di Berlino”, ossia il gruppo di lavoro che si occupa proprio di “protezione dei dati nel settore delle telecomunicazioni”, quello minacciato dall’attività della Nsa. E che dire del Terrorist Finance Tracking Programme? Si tratta di un accordo stipulato tra Usa e Unione europea per controllare le transazioni finanziarie dopo l’attentato alle Torri Gemelle di 2001. Il tutto sulla base di precise garanzie per il trattamento dei dati personali dei cittadini europei. A tutto questo si aggiungano le numerose partecipazioni del Garante a convegni, seminari e summit internazionali, tutte occasioni per confrontarsi sui temi più scottanti della protezione dei dati personali

Il perimetro
Insomma, il nostro Garante da anni ha modo di rendersi conto di quello che succede nel mondo. Anche perché a questi incontri partecipano sempre super-esperti informatici, persone che hanno il polso dei rischi che corre la privacy nel mondo. La Notizia, naturalmente, ha chiesto all’Authority lumi sulle sue attività internazionali e su quello che ne viene fuori. La riposta è che questi organismi svolgono un ruolo tecnico, che fondamentalmente produce proposte legislative. Insomma, un’occasione di studio. Eppure, nella lettera di Soro, si dice che quello dello spionaggio informatico “è un fenomeno purtroppo noto”. E non potrebbe essere altrimenti. Al punto che l’Authority conferma di aver fatto presente la questione al Copasir in un’audizione della scorsa estate. Ma allora perché tutti, alla fine, sostengono di non aver saputo nulla di quello che stava accadendo?