L'Editoriale

Prepariamo le urne? Non è detto

Fiducia al suo governo o si va al voto dopo agosto, promette Cottarelli. Ma siamo sicuri che le cose stanno così? Facciamo un passo indietro. Rifiutandosi di nominare ministro il prof. euroscettico Paolo Savona, il Presidente della Repubblica ha preso sulle sue spalle tutto il peso di una decisione indigeribile agli elettori di M5S e Lega. Tanto che da domenica sui social network è in atto un linciaggio mai visto contro il Quirinale, l’istituzione che aveva conservato finora un altissimo livello di autorevolezza e affidabilità. Pur non essendocene i presupposti, Di Maio e la Meloni (ma non Salvini) cavalcano l’onda arrivando a chiederne l’impeachment, prefabbricandosi così un facile argomento da campagna elettorale. Mattarella però ha solo esercitato le sue prerogative, inviando un segnale ai mercati che da settimane lavorano per affondare un nuovo colpo sul nostro Paese, facendoci pagare molti miliardi in più di interessi sul debito italiano grazie al solito giochino dello spread. Chi leggendo adesso scuote le spalle, perché in vita sua non si è mai trovato a quattrocchi con uno spread e dunque non ne ha paura, spieghiamo che si tratta di un meccanismo che sta facendo già aumentare le rate dei mutui e irrigidendo il sistema finanziario, ma soprattutto farà costare molto di più il rifinanziamento del debito pubblico, senza il quale si fermano scuole e ospedali, pensioni e servizi. Si sfascia lo Stato insomma. È il prezzo della democrazia (il diritto di M5S e Lega di avere Savona ministro), dicono tanti con grande faciloneria. L’osservazione però ci obbliga a una domanda: siamo davvero un Paese senza più sovranità? Per questo giornale che lo scrive da anni, la risposta è sin troppo facile. Se si ha un debito di 2.300 miliardi la sovranità è un lusso che ci possiamo scordare, anche se ci è stata usata la cortesia di non strombazzarlo troppo in giro, ad eccezione di due righette aggiunte alla nostra Carta costituzionale in cui ci si obbliga al pareggio di bilancio. Ma torniamo al voto a settembre o giù di li, magari utilizzando le cabine dei lidi balneari al posto di quelle da montare nelle scuole ancora chiuse per le vacanze estive.

Una volta che Cottarelli avrà presentato incassato l’inevitabile bocciatura del Parlamento, secondo la vulgata oggi di moda Mattarella scioglierà le Camere. Una tale decisione, che nel suo breve discorso di domenica scorsa il Capo dello Stato si è espressamente riservato di prendere, presuppone però una condizione questa sì incompatibile con il mandato costituzionale. Il Colle infatti dovrebbe mandare a casa deputati e senatori in presenza di una maggioranza conclamata, cioè quella alleanza tra M5S e Lega che avrebbe sorretto il governo di Giuseppe Conte, seppure con Savona al suo interno. Può il Presidente prendersi una tale responsabilità e così sottoporre l’istituzione che rappresenta a una macchia destinata a restare per sempre? È probabile dunque che Mattarella prima di decretare la fine anticipatissima della legislatura provi a buttare la palla avvelenata nel campo da cui gli è stata tirata addosso, addentrandosi in un terreno che in 86 giorni di crisi è rimasto inesplorato, affidando cioè un incarico di formare il governo al leader della colazione o della lista più votata, cioè Salvini e Di Maio. A questo punto i due potrebbero non mettersi d’accordo, continuando con la sceneggiata di Savona come unico ministro del Tesoro possibile, assumendosi però in questo modo la responsabilità del flop con la loro faccia (e non quella di Conte o di Mattarella). Oppure potrebbero rifarsi i conti, cominciando dai loro parlamentari che non hanno nessuna voglia di segare l’albero sul quale si sono appena seduti. Per non parlare dei casi specifici di Salvini e Di Maio. Il primo sa bene di aver perso la sua chance e non è scritto da nessuna parte che ne possa avere un’altra, specie se dovesse candidarsi Di Battista, espressione dell’ala più movimentista dei Cinque Stelle. Il segretario del Carroccio, invece, pur avendo in corso un’Opa (cioè una sostanziale offerta d’acquisto) su tutto il Centrodestra, non ha avuto il tempo per completarla e per questo rischia di perdere le alleanze con cui governa molte Regioni e Comuni insieme a Forza Italia. Un prezzo anche ragionevole di fronte a scenari che per il momento sono solo suggestivi, come un’alleanza elettorale tra M5S e Lega, che unica le forze populiste e consegni loro le chiavi del Paese. Un disegno più facile a dirsi che a farsi. Non diamo quindi nulla di scontato, se non il fatto che una campagna elettorale ravvicinata e giocata con le premesse che stiamo vedendo, dove non si salva neppure il Quirinale, sarà talmente fetida e distruttiva da non lasciare in piedi niente. Non certo una bella e utile vittoria, chiunque sia a spuntarla.