Effetto Covid, un giovane su cinque senza posto. L’allarme dell’Organizzazione mondiale del lavoro

Che le ricadute economiche dovute alla pandemia fossero drammatiche lo avevano previsto sin dall’inizio tutte le associazioni di categoria e gli organismi sia nazionali che internazionali, dalla nostra Confindustria fino al Fondo Monetario Internazionale. In maniera pressoché unanime, le stime e le previsioni sul crollo del Pil a livello mondiale e sulla conseguente perdita di posti di lavoro si sono purtroppo rivelate realistiche. Secondo il rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a causa del virus nel mondo un giovane su cinque ha smesso di lavorare. E le cose non vanno per il meglio neanche per chi un’occupazione è riuscito a mantenerla, dato che si è visto ridurre l’orario di lavoro del 23%.

Un altro dato che il report dell’Agenzia per il lavoro delle Nazioni Unite evidenzia è quello di genere: a risentire della crisi occupazionale sono state soprattutto le donne. Il gender gap si fa dunque ancora sentire, ma non solo, la chiusura forzata di attività e servizi a causa della diffusione del Coronavirus ha provocato anche l’interruzione dei percorsi d’istruzione e formazione, in pratica oltre ad aumentare i disoccupati, nella fascia d’età analizzata sono in aumento anche i cosiddetti “neet” cioè quei giovani che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione. “Se non interveniamo in modo significativo e immediato per migliorare la loro situazione, le conseguenze di questa pandemia potrebbero durare per decenni. Se il talento e l’energia dei giovani vengono sprecati a causa della mancanza di opportunità o di competenze, il futuro di tutti noi sarà danneggiato e sarà molto più difficile ricostruire un’economia più sostenibile dopo il coronavirus”, spiega Guy Ryder (nella foto), direttore generale dell’Ilo.

Un ritratto davvero a tinte fosche che si somma a quello già prospettato dalla stessa agenzia quattro settimane fa, quando aveva reso pubblico un documento secondo cui sul totale della popolazione lavorativa globale – cioè 3,3 miliardi di persone – quasi la metà di quelli impiegati nell’ambito della cosiddetta “economia informale” (cioè non coperti da protezione sociale, che non beneficiano di diritti sul lavoro e non godono di condizioni di lavoro dignitose) ha subito un crollo del 60% del salario nel primo mese di crisi. Tra questi 1,6 miliardi di lavoratori rischiano di perdere nei prossimi mesi l’unica fonte di guadagno a cui hanno accesso.