Francesco prepara la sua crociata

Di Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano

I complessi meccanismi curiali (e romani) non hanno mai appassionato l’allora cardinale Jorge Bergoglio, che se ne stava volentieri a Buenos Aires fra i cartoneros a celebrare messa ovunque. Quando l’argentino Bergoglio è diventato il pontefice Francesco ha capito che governare bene fuori vuol dire governare bene dentro. E il sinodo dei vescovi, convocato in Vaticano per ottobre (5-19), per esaminare e rilanciare il tema “famiglia” al passo con i tempi, testimonia la vigorosa volontà di Bergoglio.

Per controllare i prevedibili tumulti in curia senza ridimensionare le proprie aspettative, Francesco ha coinvolto il cardinale Walter Kasper, ha commissionato un questionario, ha mobilitato l’episcopato mondiale. Ma un aiuto, se non determinante quantomeno prezioso, proviene proprio da chi dal quel mondo s’è nascosto, Joseph Ratzinger.

Il papa in carica e il papa emerito hanno contatti frequenti, si confrontano, riflettono, a volte pregano insieme. Benedetto XVI, sempre rispettoso e rigoroso, non vuole di certo influire nel pontificato di Francesco né Francesco è propenso a condizionamenti, ma l’anziano teologo bavarese agisce per dirimere i contrasti fra cardinali che conosce perfettamente, perché di porpore ne ha nominate tante.

LE DONNE NEI DICASTERI E LE NUOVE APERTURE
Kasper è un tedesco progressista, a 80 anni compiuti è entrato in Conclave perché il 28 febbraio 2013, ultimo giorno a San Pietro di Benedetto XVI, ne aveva ancora 79, il suo libro Misericordia fu citato da Francesco durante un Angelus. Kasper è convinto che si possa concedere l’eucarestia ai divorziati risposati e che le donne possano assumere ruoli di vertice nei dicasteri.

Non è più un cardinale elettore; a titolo onorario, presiede il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, ma è un membro tra i 25 cardinali presenti nella Congregazione per la Dottrina della Fede, un organismo essenziale per la Chiesa. Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per 24 anni, da un biennio in piazza del Sant’Uffizio opera il cardinale Gerhard Ludwig Müller, tedesco di Magonza, conservatore senza mai cedimenti. Il duello a distanza fra Kasper e Müller, che s’è consumato anche attraverso i giornali, risultava estremamente facile da prevedere.

Comunione ai divorziati risposati, Müller è rigido: “Non è un diritto”. Durante un colloquio con un’agenzia di stampa tedesca, senza un riferimento diretto eppure abbastanza intuibile, Müller ha redarguito Kasper: “La dottrina non è una laguna stagnante. È un fiume che scorre”.

Bergoglio insiste con la linea di Kasper (che coincide con la sua), e gli ha affidato la relazione introduttiva al Concistoro sempre sulla famiglia: il Foglio l’ha pubblicato e Kasper ha reagito sdegnato. Per far percepire l’atmosfera, è sufficiente riportare una battuta di Lima Juan Luis Cipriani, cardinale peruviano (Opus Dei): “Müller è un buon teologo, un po’ ingenuo”.

Per il sinodo di ottobre – titolo “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” – Francesco ha indicato tre presidenti-cardinali non di Curia: André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi; Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida; Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila.

LE CONTINUE RESISTENZE ANCHE TRA I VESCOVI ITALIANI
Müller conosce in profondità Ratzinger, ne ha curato l’Opera Omnia. Kasper sostiene da sempre Bergoglio, sin dai giorni rinchiusi nella Cappella Sistina. Non soltanto epoca di Tarcisio Bertone e patrimoni Ior, Franceco vuole bonificare un territorio deturpato da conflitti, veleni e litigi: la Curia. Lì dove ha fallito Ratzinger, l’argentino vuole (e può) vincere. Non è semplice.

E il contribuito di un papa emerito lo accetta, perché lo protegge, lo rafforza. Scardinare il sistema vaticano, neanche per un pontefice così popolare è pratica agevole. Ancora discutono, i vescovi italiani, anzi da poco hanno iniziato a formare cordate per la successione di Angelo Bagnasco, che lascerà la Conferenza Episcopale nel 2017, non prima di finire il mandato, nonostante i pessimi rapporti con Bergoglio.

Fu il papa, e non il capo dei vescovi, a inaugurare l’assemblea annuale Cei con una prolusione molto coraggiosa. E non era mai accaduto. Disse: “Fuggite da mediocrità, lamentele, invidia e potere personale”. La platea non scattò in piedi per un applauso.