Nemmeno il tempo di contare tutti i milioni di No dalle urne del 4 dicembre, che tanti renziani preparavano la discesa dal carro di Matteo. Perché ormai non è più quello del vincitore. Il premier dimissionario conosce bene chi sono gli avversari interni: Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, insieme al loro drappello di parlamentari con cui il dialogo è praticamente azzerato. Ma il Rottamatore, nelle ultime ore, sta vivendo un fenomeno ben noto alla storia politica italiana: la fuga dal leader sconfitto. Era capitato con Enrico Letta e si sta ripetendo ancora: all’interno del Pd il segretario sta perdendo pezzi importanti. E se continua così non solo sarà presto inminoranza, ma gli faranno pagare qualunque cosa, a partire dall’assassinio di Abele da parte di Caino. Perciò c’è chi scommette che Renzi le stia pensando tutte, compresa un’uscita a sorpresa da quel Pd che non l’ha mai digerito, per fondare un suo partito fortemente riformista, lasciando al loro triste destino D’Alema & C.
Dario scappa – Intanto, tra gli amici in allontanamento spicca il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, a capo della corrente Areadem, che conta almeno sessanta fedelissimi in Parlamento. E soprattutto può far leva sui capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, ora corteggiati pure dallo zoccolo duro renziano. Alle dimissioni di Renzi, qualcuno aveva suggerito la candidatura di Franceschini a Palazzo Chigi. Un’ipotesi che ha insospettito il Rottamatore, consapevole della capacità di riposizionamento del ministro, che nella sua carriera è stato veltroniano, poi bersaniano, nonché lettiano. Quindi il nome di Dario è stato buttato giù dalla torre, provocando un ulteriore raffreddamento dei rapporti. In questo clima rientra il controllo dei gruppi parlamentari: Franceschini vuole esercitare il proprio potere. “Ma su Rosato e Zanda sta in parte perdendo il controllo”, rivela a La Notizia una fonte del Pd.
Carica turca – Un’altra consistente fetta della maggioranza renziana nel partito è quella della corrente Rifare l’Italia, meglio nota come i Giovani Turchi, guidata da Matteo Orfini. Il presidente dell’assemblea nazionale ha finora professato lealtà, tanto che è stato indicato per la delegazione dem da mandare al Quirinale per le consultuazioni. È stata apprezzata anche la schiena dritta tenuta nell’ultima direzione, quando Orfini ha silenziato il dibattito in ossequio alla linea renziana, stoppando il senatore Walter Tocci. Ma dietro all’incondizionato sostegno, i Giovani Turchi lavorano per valorizzare l’avanzata del ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Pure Maurizio Martina, titolare delle Politiche agricole, è in fase di sganciamento: a lungo ha incarnato la logica di “minoranza dialogante” con la sinistra del partito. Ora, invece, progetta di realizzare qualcosa insieme a quell’area. In questo quadro anche il riavvicinamento di Gianni Cuperlo va verso i titoli di coda: l’ex candidato alle primarie vuole un’altra sinistra. Senza Mattteo.