La farsa dei sovranisti sul Mes. Oggi sono tutti contro ma nel 2012 ecco chi di loro votò il Salva Stati

Rimasti senza barconi su cui lanciare allarmi, non avendo più nulla da dire su Bibbiano e continuando anche a collezionare pessime figure nella gestione dell’emergenza coronavirus all’interno delle regioni che governano, i sovranisti in questi giorni hanno ripescato dalla soffitta dei loro argomenti buoni per tutte le stagioni il Mes. Quando, sottovalutando colpevolmente soprattutto la situazione italiana, l’Eurogruppo aveva messo al primo punto della discussione del 16 marzo scorso la revisione del Meccanismo europeo di stabilità, a insorgere era stato il Movimento 5 Stelle.

E subito era stato deciso di concentrare l’appuntamento sui mille problemi creati dal Covid-19, rinviando il tema del Salva Stati. Ora però Giorgia Meloni prova a intestarsi una simile vittoria e la pandemia diventa la scusa per FdI e Lega, partendo proprio dal Mes, di rilanciare la crociata contro l’Ue. Peccato che quando il Salva Stati è stato approvato i patrioti che ora compongono l’esercito della Meloni e di Matteo Salvini la pensassero diversamente.

FUMATA BIANCA. Il trattato di istituzione del Mes ha ottenuto, durante il Governo di Mario Monti, il via libera dal Senato il 12 luglio 2012 e dalla Camera il successivo 17 luglio. Non c’era ancora traccia in Parlamento del Movimento 5 Stelle, i fratelli d’Italia e i forzisti coabitavano allegramente sotto lo stesso tetto del Pdl, qualcuno di loro era finito in Fli seguendo Gianfranco Fini e la Lega, ancora partito del Nord senza le ambizioni nazionali del Capitano, contava su una piccola pattuglia di deputati e senatori. Sul Mes erano tutti piuttosto d’accordo, fatta eccezione per il Carroccio, ma anche in quest’ultimo caso con qualche sorpresa. Il trattato venne approvato a Palazzo Madama con l’84,4% di voti favorevoli e a Montecitorio con l’81,6%. Pochi i ribelli, alcuni astenuti e tanti gli assenti, quelli insomma a cui del Meccanismo europeo di stabilità, trasformato adesso dai sovranisti in una linea del Piave, sembrava non interessasse granché.

SOLITE GIRAVOLTE. A rivendicare coerenza nella battaglia sul Salva Stati, ora concentrata nella riforma del Mes, con il timore che in caso di bisogno, perché sommersa dai debiti, l’Italia possa rischiare di ottenere prestiti a condizioni penalizzanti, può essere il pentastellato Elio Lannutti, che all’epoca, senatore di Italia dei Valori, mentre il suo gruppo scelse l’astensione, votò contro. Favorevole al Meccanismo europeo di stabilità fu invece l’allora senatrice e attuale presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ma lo fu anche Anna Cinzia Bonfrisco, nel 2012 senatrice del Pdl e ora europarlamentare della Lega di Salvini. E come lei diede l’ok al Salva Stati l’allora senatore di Fli e attuale sindaco leghista di Anzio, Candido De Angelis.

La posizione più imbarazzante sembra però proprio quella della Meloni, talmente attenta al Salva Stati che il giorno del voto della ratifica del trattato alla Camera era assente. A dare forfait fu anche l’esponente di FdI Ignazio La Russa, mentre gli attuali big di Fratelli d’Italia, il governatore dell’Abruzzo Marco Marsilio e Fabio Rampelli, insieme all’ex ministra leghista Giulia Bongiorno,votarono a favore. Disertarono il voto, invece, Silvio Berlusconi, Anna Maria Bernini e Raffaele Fitto.

SENZA VERGOGNA. Non si capisce a questo punto come FdI possa cercare di intestarsi una battaglia contro il Mes e come la Meloni possa precipitarsi a prendere in mano lo smartphone per twittare che il rinvio è tutto merito suo e che non abbasserà la guardia. Quella guardia era talmente alta che quando poteva dire no al Salva Stati non ha neppure messo piede a Montecitorio. “Se oggi la riforma del Mes è rinviata il merito è del governo italiano e in particolare del Movimento 5 Stelle”, le ha subito ricordato l’europarlamentare pentastellato Ignazio Corrao. Resta sicuramente il problema di una revisione della riforma e di procedere, come più volte sottolineato dal premier Giuseppe Conte, in una logica a pacchetto. Ma ora le priorità sono altre.