L’avventura dell’Ama in Senegal

di Clemente Pistilli

Addio a 16 milioni di euro. Per sempre. L’Ama ha perso tanto con l’affare tentato in Africa. Di conseguenza tanto ha perso il Campidoglio, che controlla la società impegnata nella raccolta dei rifiuti nella capitale. Ma non potrà recuperare un centesimo. La Corte dei Conti ieri ha dovuto prendere atto della decisione presa a dicembre dalla Cassazione. I giudici contabili non erano competenti a indagare su quella vicenda. E l’eventuale azione di responsabilità verso i manager coinvolti in quello che è stato bollato come un maxi sperpero di denaro pubblico è ormai prescritta. Nessuno pagherà niente e il sindaco Ignazio Marino si deve rassegnare. Nel 1999 la società svizzera Alcyon vinse l’appalto per lo spazzamento delle strade, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti a Dakar, e incaricò Alvaro Moretti di trovare un partner commerciale. L’Ama aveva velleità di allargare i propri affari oltre i confini nazionali. Il business in Africa piacque. Vennero costituite Ama international e poi Ama Senegal, con al vertice proprio Moretti. Nel 2001 la società romana prese così la commessa, spedendo propri mezzi in Senegal. A Dakar, però, spuntarono subito più problemi che denari. Il Governo senegalese mise alla fine l’azienda alla porta, per inadempienze contrattuali, e Ama fu costretta a una transazione con lo Stato africano. Esplose lo scandalo. Sui tg approdarono le immagini dei netturbini africani che raccoglievano spazzatura a mani nude. E tra una perdita e l’altra l’affare divenuto un flop costò caro all’azienda del Comune di Roma. La Corte dei Conti, aperta un’indagine, stimò un danno erariale di 15,7 milioni di euro. A giudizio finirono Moretti, l’ing. Giancarlo D’Ignazio, ancora dirigente di Ama, l’ing. Giovanni Fiscon, attuale direttore generale della società, Domenico Tudini, all’epoca AD di Ama, e Demetrio De Stefano, al timone della ASP di Ciampino. A dicembre, però, la Cassazione ha sostenuto che non è competente sulla vicenda la Corte dei Conti e ieri i giudici ne hanno dovuto prendere atto. I cinque manager non risarciranno niente. Prescritta intanto l’eventuale azione di responsabilità che poteva avviare la spa del Campidoglio.