Nomine pubbliche, l’illusione del renzismo risorto. Dietro la porta dell’ex rottamatore si rivede una fila di postulanti. Ma hanno sbagliato tempo e luogo

Quanto traffico che c’è da qualche giorno nei palazzi del potere. Manager, questuanti e galoppini sembrano essersi dati appuntamento tutti insieme, e tutti insieme a bussare alle stesse porte da cui si erano discretamente allontanati con l’uscita di Renzi dal grande palcoscenico. Poi le cose sono andate come sappiamo, e il sistema ha riscoperto il suo campione prediletto. Dato un calcione al Pd, l’ex premier può giocare un ruolo rilevante nella grande abbuffata di seggiole e poltrone in arrivo da qui alla prossima primavera, quando si rinnoveranno i vertici di Eni, Enel, Poste, Terna, Finmeccanica e compagnia cantando.

Pur accreditato al momento di un minuscolo 3-5%, Renzi ha una capacità di attrazione superiore al Pd e ovviamente ai Cinque Stelle, che di lobbisti e poltronari continuano a non volerne sentire niente. Il ragazzo d’altra parte ci sa fare: quando stava a Palazzo Chigi ha dimostrato ampiamente di saper gestire incarichi ed equilibri nelle aziende pubbliche, e al netto di qualche pratica sfuggita di mano – come la Consip – ne ha renzizzato la cabina di regia. Fare il regista è in fin dei conti il suo pallino in politica quanto in economia, come non si è trattenuto dal ricordarci persino nell’intervista a Repubblica in cui annunciava la rottura con i dem, avallando una possibile fusione tra Fincantieri e Finmeccanica Leonardo. Il punto, però, è che la stagione del renzismo è finita.

Ed è finita anche se il titolare del brand made in Rignano sogna ancora trionfi clamorosi, visto che alla sua minaccia di staccare rapidamente la spina a Conte non crede nessuno, tranne Salvini che per questo epilogo accende tutti i giorni un cero al sacro cuore di Maria. Renzi, dunque, per ora non ha alternativa che sostenere la maggioranza giallorossa, e condividere le scelte che passeranno dal capo del Governo, secondo una strategia industriale necessariamente discontinua da quella di molti manager imposti proprio da Rignano.

Questo Paese merita di più di amministratori delegati implicati in scandali internazionali per tangenti (Eni), o di presidenti che comandavano la polizia mentre avveniva la vergogna mondiale delle torture nella scuola Diaz di Genova (Finmeccanica Leonardo). Il cambiamento che milioni di elettori hanno affidato ai Cinque Stelle, e che il Pd almeno a parole si è impegnato a sostenere, passa da scelte totalmente innovative nei presìdi industriali dello Stato.

Oggi l’Italia ha molti giovani manager preparati, con formazione ed esperienze internazionali, che credono nella sostenibilità del loro settore di business, nell’economia green, nel servizio verso gli stakeholder ma prima ancora verso i cittadini, che non fanno utili ammazzando i fornitori, che saprebbero essere motore di sviluppo del Paese e non solo del loro piccolo orticello. Di una lunga fila di questi signori abbiamo bisogno, e non – giusto per fare un esempio – delle file di postulanti ricomparse dietro la porta dell’ex direttore generale della Rai (in quota Renzi) Mario Orfeo, dato per possibile prossimo direttore di Rai1.

Perché se il grande movimento di cittadini arrivato a innovare profondamente la politica italiana con i Cinque Stelle e Conte a Palazzo Chigi alla fine dovesse farci tornare ai manager impresentabili o agli Orfeo c’è qualcosa che non ha funzionato. E allora sì che avrebbe vinto il renzismo.