Oltre l’arsenico pure la beffa. Niente soldi a chi lo ha bevuto

di Clemente Pistilli

Avvelenati, tartassati dalle bollette, impossibilitati a utilizzare l’ acqua che hanno continuato a dover pagare e senza alcun diritto ad essere risarciti. L’ennesimo schiaffo a un milione di italiani, residenti in 128 Comuni del Lazio, della Lombardia, del Trentino-Alto Adige, della Toscana e dell’Umbria arriva dal Consiglio di Stato, che ha annullato quel minimo di indennizzo concesso lo scorso anno dal Tar di Roma ai cittadini che si sono trovati a dover far fronte all’ emergenza arsenico, alle elevate concentrazioni del pericoloso semimetallo nell’acqua, ritenuto causa di tumori. I giudici di Palazzo Spada hanno accolto i sei appelli presentati dagli allora ministri dell’ambiente e della salute, Corrado Clini e Renato Balduzzi, attualmente il primo dirigente dello stesso Ministero e il secondo deputato di Scelta Civica: le lamentele degli utenti del servizio idrico sono state respinte su tutta la linea e non avranno un centesimo.

La gestione
L’arsenico in alcune falde del sottosuolo vulcanico si trova in percentuali elevate ed è ritenuto dannoso per la salute. A livello europeo la normativa si è fatta sempre più restrittiva e agli Stati membri è stato imposto di effettuare tutti gli interventi necessari per garantire acqua di buona qualità ai cittadini. Tra il dire e il fare ci passa però sempre un bel po’ e, come troppo spesso accade, si è andati avanti di deroga in deroga. La Commissione Europea ha consentito all’Italia di far consumare il prezioso liquido fino a una concentrazione massima di 50 microgrammi per litro, mentre attualmente è ritenuto pericoloso sopra i dieci, dal 2004 al 2009. Poi, il 28 ottobre 2010, dinanzi alla richiesta di un ulteriore periodo di deroga, lo stop dell’Europa: vietato il consumo di acqua con valori superiori ai venti microgrammi e, per neonati e bambini fino a tre anni, con valori superiori ai dieci. Per un milione di italiani è scattata l’emergenza e le famiglie sono state costrette, pur continuando a pagare le stesse identiche bollette, a uscire da casa e andare a rifornirsi del prezioso liquido dalle autobotti messe a disposizione dai gestori del servizio.

Il ricorso
Tremila utenti, insieme al Codacons, si sono rivolti al Tar del Lazio, chiedendo un risarcimento per la mancata riduzione delle bollette dopo che era stato vietato utilizzare l’acqua e un risarcimento per il danno biologico, morale e materiale subito. Il Tribunale amministrativo, a gennaio dello scorso anno, aveva respinto le richieste sulle bollette, specificando che di eventuali riduzioni doveva occuparsi l’Autorità d’ambito e non era una decisione che potevano prendere i singoli Comuni, in pratica quell’Autorità composta dagli stessi sindaci e che dovrebbe garantire l’approvvigionamento di acqua di qualità e tutelare i consumatori. Un piccolo indennizzo, però, venne concesso dal Tar per gli altri danni subiti dai ricorrenti. I giudici stabilirono un risarcimento di cento euro per ogni ricorrente, condannando a pagare tali somme i Ministeri dell’ambiente e della salute.

Addio ai risarcimenti
I ministri Clini e Balduzzi fecero appello e il Consiglio di Stato, dopo che a luglio aveva “congelato” le sentenze del Tar, ora le ha annullate, negando qualsiasi indennizzo a chi ha bevuto acqua “avvelenata” e pagato come se fosse acqua buona. Una sconfitta per i residenti in 91 Comuni del Lazio, 8 della Lombardia, 10 delle Province autonome di Trento e Bolzano, 16 della Toscana e 3 dell’Umbria, dove si è verificata l’ emergenza arsenico. Per i giudici gli enti coinvolti hanno dovuto trovare un compromesso tra rischi e benefici, “tenendo in conto i rischi connessi alla limitazione d’uso o alla sospensione della distribuzione idrica”.
I Ministeri, sempre per Palazzo Spada, avrebbero gestito la situazione in maniera adeguata. Intanto in diversi centri le percentuali di arsenico nell’acqua continuano ad essere elevate e, nell’ aprile scorso, uno studio dell’Istituto superiore di sanità, effettuato nel Lazio su 269 soggetti sani, ha evidenziato che nell’organismo di quest’ultimi l’arsenico era presente in misura doppia del normale.