Renzi-Marchionne, c’eravamo tanto amati. Il capo di Fiat Chrysler: “Quel Matteo che appoggiavo non l’ho visto più da tempo”

Non va sempre come la canzone di Venditti. Certi amori a volte finiscono e stavolta è toccato a Sergio Marchionne e Matteo Renzi dividere le proprie strade. Finito lo scambio di amorosi sensi, l’amministratore delegato di FCA ha di fatto scaricato il leader del Pd, rincarando la dose rispetto alle dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi. “Renzi mi è sempre piaciuto come persona” ma “quello che gli è successo non lo capisco. Quel Renzi che appoggiavo non l’ho visto da un po’ di tempo”, ha messo a verbale il manager italo-canadese. In ambienti politici c’è chi legge il tramonto di questo rapporto come la conferma di una debole possibilità per l’ex premier di tornare a palazzo Chigi dopo il voto del 4 marzo, neppure con un accordo – in caso di un esito incerto – per una grande coalizione al fine di garantire la stabilità del Paese.

Ma la frattura potrebbe essere anche la conseguenza del fatto che Marchionne si sarebbe molto riavvicinato a Silvio Berlusconi prendendo quindi le distanze da Renzi o semplicemente della decisione di FCA di consolidare i suoi interessi orientandoli all’estero, e poco o nulla in Italia. Fatto sta che in due anni, Sergio&Matteo non hanno mai risparmiato reciprocamente parole di grandissima stima e di forte rispetto al punto che, nel maggio 2016, il leader della Lega Matteo Salvini senza giri di parole li canzonò: “Marchionne e Renzi ormai sono una coppia di fatto, tra un po’ chiederanno anche un’adozione gay. Chi si somiglia si piglia”. I primi approcci non furono delicati. Anzi. Risale al settembre 2012 un violentissimo scontro tra l’allora sindaco di Firenze e il manager. A Renzi non era andata giù la fine ingloriosa del progetto Fabbrica Italia, il piano di investimenti annunciato nel 2010 e poi ritirato da Fiat dopo aver chiesto agli operai di Pomigliano e di Mirafiori di votare sulle nuove condizioni di lavoro. “Marchionne è una persona che ha fatto numeri importanti quando è arrivato in Fiat – disse “Matteo” –, ma ora ha un grosso peso sulle spalle: ha raccontato una balla agli italiani dicendo ‘ditemi sì’ al referendum che investo 20 miliardi e faccio Fabbrica Italia”. Passano poche settimane e la replica di Marchionne non si fa attendere: “Renzi è la brutta copia di Obama, ma pensa di essere Obama, è il sindaco di una piccola, povera città”.

Il disgelo comincia l’anno dopo, a giugno 2013, quando gli interessati si incontrano a Firenze all’assemblea della Confindustria locale. Poi a metà 2014 arriva la conversione del manager nel corso del Festival dell’Economia di Trento: “L’agenda Renzi oggi credo sia l’unica che abbiamo come paese e come Europa e spero che lo ascoltino”. A luglio dello stesso anno è ancora più esplicito: “Spero che Renzi tenga duro”. E così via negli anni a venire. Il tutto fino a dicembre scorso, quando Marchionne ammonisce: “Renzi? Non so nemmeno se si ricandida” ma “mi sembra che Silvio Berlusconi si ripresenti”. In ogni caso FCA “è totalmente filogovernativa e si allinea con tutti quelli che si presenta: vorrei qualcuno che gestisca il paese e una tranquillità economica nel contesto in cui operiamo; sono cose essenziali”.

Ma che l’amore sia sfumato lo si intuisce chiaramente: Renzi ha “perso qualcosa da quando non è più premier – ammette ancora Marchionne – ma questo è normale. Se si sia comportato bene o meno non saprei nemmeno dire: so che la sinistra sta cercando di definirsi come identità, è piuttosto penoso. Spero che si ritrovino”.