Riforma fiscale e spending review. L’agenda di Conte per la fase 2. Totalmente smentita l’ipotesi di una patrimoniale. Ma mancano all’appello ancora 5 miliardi di coperture

La parte del leone, in termini di coperture della prossima legge di Bilancio, la fa la flessibilità. Oltre 14 miliardi – se Bruxelles, come pare, darà il suo via libera – arriveranno dal maggiore deficit indicato al 2,2% nella Nota di aggiornamento al Def. Mancano all’appello – la manovra vale 29-30 miliardi – altri 14 miliardi. Di questi, 7,2 dovrebbero arrivare dalla lotta all’evasione. Una cifra corposa dove la voce Iva vale ben 5 miliardi. Ma anche queste risorse – saltata l’ipotesi della rimodulazione dell’imposta che avrebbe comportato in alcuni casi un aggravio – ballano. L’unica rimodulazione che potrebbe passare, al momento, è quella di una riduzione dell’imposta su alcuni beni come assorbenti e pannolini, di cui ha parlato il ministro Francesco Boccia.

Il lavoro dei tecnici di via XX Settembre per trovare coperture alternative che convincano l’Ue si è complicato. Diversi gli scenari su cui si ragiona. Dal riordino delle tax expenditures alla rimodulazione delle detrazioni e dei ticket in base alle fasce di reddito. Da un’analisi delle compensazioni dei crediti Inps agli strumenti di contrasto all’uso del contante. E a tal riguardo si registra malumore in casa M5S per l’atteggiamento tenuto del numero uno del Mef. I grillini lamentano che Roberto Gualtieri “tenga tutte le carte per sé e non condivida il lavoro che si svolge al suo dicastero”. Per non parlare di alcune sue uscite azzardate, poi prontamente rettificate. Nessuna patrimoniale, intanto garantisce il premier Giuseppe Conte. Le soluzioni per recuperare risorse passano attraverso una riforma fiscale equa (“Ogni euro sottratto all’evasione andrà alla riduzione delle tasse”) e all’efficientamento della spesa pubblica, vale a dire spending review.

E Gualtieri annuncia l’intenzione di istituire per la revisione della spesa una commissione. Sarebbe l’ennesima. Di commissioni e commissari incaricati di analizzare le tendenze della spesa, al fine di attuarne una razionalizzazione, si sente parlare da quasi mezzo secolo. Un paper elaborato dal Centro studi di Confindustria fa un bilancio delle esperienze. Si parte dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica istituita nel 1981, per realizzare approfondimenti su singoli settori e suggerire interventi normativi, e soppressa nel 2003 dal governo Berlusconi. Nel 2007, con l’allora ministro Tommaso Padoa Schioppa, arriva la Commissione tecnica per la finanza pubblica ma dura un solo anno. A raccogliere l’eredità l’attività della Ragioneria generale dello Stato (2009). Ma è soprattutto a partire dal 2012, con il governo Monti, che la spending torna d’attualità.

Dopo la presentazione del Rapporto Giarda, con un’analisi degli aspetti critici che caratterizzano la struttura della spesa ma senza proposte per interventi specifici, si arriva alla spending del commissario Enrico Bondi che portò a una reale sforbiciata della spesa. Ma i tagli applicati furono quasi-orizzontali. Da cui mette in guardia oggi Conte: “I tagli lineari non sono certo quello di cui il Paese ha bisogno”. L’anno dopo, la revisione della spesa, per volontà del governo Letta, fu firmata dal commissario Carlo Cottarelli (2013): l’insieme delle proposte, dice il centro studi di viale Dell’Astronomia, pur contenendo elementi di analisi interessanti, risultano incomplete o poco fruibili dal punto di vista operativo. La spending del governo Renzi (2015-2017) prosegue con l’incarico a Roberto Perotti e la nomina di Yoram Gutgeld a commissario straordinario.

Per quanto riguarda il lavoro di Gutgeld dai “documenti pubblici, è difficile individuare un legame diretto tra l’attività svolta, le misure proposte, quelle adottate e i risparmi dichiarati”. Anche il governo gialloverde fa mostra di considerare la revisione della spesa pubblica strategica e nel Def di aprile 2019 fissa importanti obiettivi di risparmi – fino a 8 miliardi nel 2022 – ma tutto rimane sulla carta. Nessuna iniziativa viene intrapresa e la nomina dei due viceministri del Mef, Laura Castelli e Massimo Garavaglia, a commissari alla spending review, avvenuta al Consiglio dei ministri del 18 aprile scorso, dieci giorni dopo viene revocata. Riuscirà il governo giallorosso, dopo 40 anni di slide e corposi volumi di raccomandazioni, nell’ardua impresa di effettuare una vera analisi e revisione della spesa?