Un paese da allarme rosso

Di Mauro Masi

Si stima che in Italia la popolazione potenzialmente esposta ad un elevato rischio idrogeologico sia pari a 5,8 milioni di persone mentre quella esposta ad un elevato rischio sismico sia 21,8 milioni di persone.
Peraltro, nel periodo 1944/2012 il costo complessivo dei danni provocati dai terremoti e dagli eventi franosi ed alluvionali (a prezzi 2011) supera i 240 miliardi di euro (circa 3,6 miliardi per anno).
In generale il rischio da calamità naturali può essere ripartito ex post sulla base del principio generale di mutualità per cui la collettività (quindi la fiscalità generale) si fa carico in toto dei danni subiti solo da una parte di essa. Al lato opposto si collocano meccanismi che fanno leva sul mercato. In questo caso i singoli individui decidono ex ante se sopportare il rischio o scambiarlo con altri soggetti assicurandosi.

Obiettivo risparmio
Da noi il modello coincide sostanzialmente con quello dell’intervento ex post da parte della fiscalità generale. Un modello che, al di là di alcune patologie contingenti, si è rivelato in grado di affrontare situazioni di grande difficoltà. Ora però la ben nota situazione della finanza pubblica esclude che il problema possa continuare ad essere affrontato con l’impegno di risorse pubbliche per risarcimenti ex post. E per non lasciare tuttavia privo di tutele questo importante diritto sociale si rende necessario esplorare altre possibilità. La prima e più importante è quella che riguarda il ricorso allo strumento assicurativo. In quest’ambito, tutta una serie di motivi, sia tecnici che di opportunità, rendono improbabile che le imprese private di assicurazioni possano garantire la necessaria copertura dal rischio.

Già realtà in Usa e Francia
Come è noto, i mercati assicurativi privati sono esposti a “inefficienze” derivanti dalle asimmetrie informative tra assicuratore e assicurato ma anche dalle caratteristiche del rischio e, in particolare, dalla correlazione tra i vari rischi assicurati. Così spesso risulta conveniente assicurarsi soltanto a coloro che appartengono a classi di rischio molto elevate (con ovvie conseguenze negative per la profittabilità delle assicurazioni) o chi è assicurato assume comportamenti che possono rendere più probabile l’evento negativo e il danno che ne consegue. Torna quindi la necessità di un qualche coinvolgimento del pubblico che può essere a vari livelli (lo Stato assicuratore diretto del danno; riassicuratore di ultima istanza; fornitore di supporto finanziario) anche se l’ipotesi che meglio supera la problematica indicata è quella che lo Stato renda obbligatoria l’assicurazione contro eventi catastrofali come già accade in Paesi come Francia, Stati Uniti, Giappone e Turchia.

Premi sostenibili
Con l’obbligatorietà il pool di assicurati sarebbe composto da tutta la popolazione di riferimento e i problemi di cui si è detto non si verificherebbero. Un effetto dell’assicurazione “universale” obbligatoria sarà quello di abbassare significativamente il premio e questo permetterebbe di assicurarsi a almeno alcuni di coloro che in precedenza non si assicuravano ma lo avrebbero fatto, se la loro classe di rischio fosse stata riconosciuta. Nello specifico, l’assicurazione obbligatoria potrebbe riguardare direttamente i cittadini. Per le classi di reddito più basse si può pensare a livelli di esenzione fiscale oppure porre l’assicurazione in capo a determinati livelli territoriali, quali ad esempio i Comuni. Spetterebbe invece al legislatore prevedere forme e procedure standardizzate ed eque di ripartizione dell’indennizzo fra i soggetti pubblici e privati danneggiati dalla catastrofe, tenendo presente che una procedura come quella prospettata potrebbe portare ad un risparmio per lo Stato di almeno un miliardo di euro all’anno.