Un primato europeo. I siriani si uccidono con armi italiane

di Fabrizio Di Ernesto

In questi giorni tutto il mondo si interroga sulla possibilità di attaccare la Siria. Tra i pochi paesi che stanno cercando di prendere le distanze da un possibile intervento armato l’Italia; tante le ragioni che spingono il nostro governo a frenare, probabilmente anche di carattere etico, visto che se a Damasco è in corso una guerra civile dipende anche dalle tante armi italiane che in questi anni sono state vendute in quel mercato.
Tra gli anni ’90 ed il 2009 molte le commesse militari che hanno viaggiato sull’asse Roma-Damasco per un valore di circa 229 milioni di dollari, solo negli ultimi dieci anni l’Italia ha venduto armi in Siria per oltre 130 milioni di euro. Non solo pistole e fucili visto che il pacchetto comprende anche 500 sistemi di puntamento Turms, prodotti da controllate del gruppo Finmeccanica, usati per ammodernare i vecchi carri T72 di fabbricazione sovietica. Su questo commercio ha pesato anche lo strano atteggiamento dell’Unione europea che nel 2011, dopo i primi scontri tra ribelli e lealisti aveva posto alcune limitazioni al commercio bellico con Assad, ma che, inspiegabilmente, lo scorso maggio le ha tolte lasciando la possibilità ad ogni paese di decidere autonomamente.

Primi in Europa
Se oggi l’arsenale del governo di Damasco, ma anche quello dei ribelli, è pieno di forniture belliche non è dipeso solo dall’Italia, visto che la gran parte delle armi utilizzate dalle fazioni in lotta in Siria proviene da Russia, Iran, Bielorussia e Corea del Nord; rimane però il fatto che noi, secondo i dati forniti dall’istituto svedese Sipri, siamo il paese europeo che ne ha vendute di più a quello medio orientale, anche in barba alle norme italiane. La legge 185 del 1990, infatti, vieta al nostro paese di esportare forniture belliche a paesi “i cui governi sono responsabili di accertate violazioni dei diritti umani”, norma che però negli anni raramente è stata rispettata ed il business legato alla guerra ha sempre prevalso su tutto il resto, basti considerare che nonostante il golpe in Egitto continuiamo a mandare armi al Cairo.
Le armi che esportiamo
Secondo quanto denunciato dall’Opal di Brescia, associazione che si occupa di monitorare il traffico di armi italiane nel mondo, in tutti questi anni abbiamo spedito a Damasco oltre a generiche armi sportive o finalizzate alla “difesa personale” anche tutta una serie di pistole semiautomatiche, fucili e carabine per le forze di polizia, fucili a pompa per corpi speciali, contractors e forze di sicurezza. Tutte armi, in linea teorica, non destinate all’uso bellico e che quindi possono uscire senza problemi dai nostri confini, ovvero senza bisogno di essere autorizzate dal ministero degli Esteri, chiamato a pronunciarsi solo sulle forniture belliche destinate alle forze armate regolari. Tutti strumenti bellici che però, come ricordato più volte dall’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, “sono le vere armi di distruzione di massa che alimentano i conflitti”.

Assange accusa
Sempre in merito alle forniture belliche fornite dall’Italia al governo siriano, opportuno ricordare un dispaccio pubblicato tempo fa da Wikileaks in merito ai rapporti tra Finmeccanica ed Assad. Assange e i suoi uomini pubblicarono alcuni cablogrammi in base ai quali Selex Elsag, società del gruppo Finmeccanica appunto, nel 2008 avrebbe fornito al governo siriano, all’epoca dei fatti omaggiato e rispettato da tutta la comunità internazionale, il sistema Tetra destinato all’impiego da parte di organizzazioni per le emergenze e il soccorso e che invece a Damasco avrebbero utilizzato per combattere i ribelli, fornendo comunicazioni criptate a prova di intercettazione e in grado di collegare qualunque veicolo, elicotteri inclusi. Tutto sarebbe accaduto nel febbraio 2012 quando alcuni ingegneri italiani andarono a Damasco per istituire i tecnici della Intracom Syria su nuovi possibili utilizzi.
Se oggi in Siria è in corso una guerra civile quindi è anche colpa delle armi italiane, uno dei primati del nostro export, facilitato in questo però anche dall’atteggiamento, come abbiamo visto, della Ue che non ha saputo o voluto impedire l’ingresso di armi europee a Damasco.