Biglietterie Atac saccheggiate. Arrestati undici vigilantes. Svuotavano parcometri e distributori di ticket. Nelle loro tasche fino a 500 euro al giorno

Atac e Unisecur si sono già dichiarate parti lese

Quando lo stipendio da guardia giurata per conto di Atac non bastava, lo arrotondavano saccheggiando distributori di biglietti e parcometri che invece avrebbero dovuto sorvegliare. Questo è il maxi raggiro costato l’arresto di 11 addetti alla sicurezza, tutti dipendenti della società Unisecur, che per conto della municipalizzata della capitale si occupavano di trasporto e vigilanza degli incassi dei dispositivi elettronici dell’azienda. A loro il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pubblico ministero Laura Condemi, a seconda delle posizioni, contestano i reati di peculato e di simulazione di reato.

La società Unisecur, che si è dichiarata parte lesa nella vicenda come anche Atac, è l’azienda a cui sono affidate la gestione di 32 casse automatiche, 11 casse manuali, 4240 parcometri, 31 biglietterie, 81 gettoniere, 2 checkpoint, 315 macchine distributrici di biglietti bus e metro. Così fare un regalo alla propria fidanzata, una cena fuori o togliersi qualche sfizio come acquistare una macchinetta fotografica di ultima generazione, non era più un problema. Ognuno degli arrestati, infatti, riusciva ad intascare tra i 250 e i 500 euro al giorno. Un flusso di denaro che, come racconta uno degli intercettati, appariva come “una manna” letteralmente piovuta dal cielo e che andava solamente raccolta.

Peccato che di miracoloso non c’era davvero nulla perché gli indagati conoscevano davvero bene il loro mestiere parallelo. Non solo puntavano le macchinette difettose, dove gli ammanchi di denaro sarebbero stati difficili da rilevare, ma riuscivano a depredare anche quelle perfettamente funzionanti. Con quest’ultime usavano lo stratagemma del biglietto, ironia della sorte proprio uno di quelli dell’Atac, che infilato nel canale di scivolo delle monete, permetteva di deviarne la caduta. Quest’ultime, non finendo nell’apposito contenitore in cui è presente il sensore, non venivano nemmeno conteggiate dalla macchinetta elettronica riducendo quasi a zero la possibilità di essere scoperti. Sicurezza che traspariva anche nelle telefonate, spesso divertite e ricche di battute, che gli indagati si scambiavano non sapendo di essere intercettati. In un caso, ad esempio, uno degli indagati raccontava al collega: “Non me lo fa ingrassa quello, sennò non ce entrate tutte e due, ve devo dà il furgone più largo”.

Malefatte che per i vigilantes infedeli erano diventate quasi una gara giocosa tra di loro. Un dettaglio che emerge da un ulteriore telefonata, del 26 giugno scorso, in cui due di loro parlano del colpo messo a segno da un loro sodale commentando divertiti: “Mamma mia, sta gonfio come n’ovo, perché ce stava il concerto a Flaminio. C’era il concerto a Piazza del Popolo, quindi Flaminio, Spagna, Lepanto, Ottaviano, stavano tutte schioppate, tutte piene”.

A dare il via alle indagini era stato Giuseppe Muscilli, rappresentante legale della Unisecur srl, che decideva di sporgere denuncia alle autorità dopo esser venuto a conoscenza da una guardia giurata di alcuni episodi a dir poco sospetti. Il dipendente gli aveva confidato che il 10 marzo scorso, durante un servizio assieme ad un collega, si erano recati alla macchinetta di piazza dei Cinquecento. Nulla di strano se non fosse che, contrariamente a quanto avrebbe dovuto fare, l’uomo arraffava quante più monete e banconote possibili. Poi, come se tutto ciò fosse più che normale, si offriva di dividere il maltolto con il collega che, invece, rifiutava sdegnato. Il secondo episodio, invece, avveniva il primo aprile quando, con un altro collega, assisteva ad una finta ricarica di una macchinetta della fermata metro di Giulio Agricola.

Così gli inquirenti hanno dato il via alle indagini che hanno dimostrato come si fosse in presenza di un modus operandi collaudato e che, probabilmente, andava avanti da molto tempo. Motivo questo che ha reso impossibile quantificare con esattezza l’intero importo indebitamente finito nelle tasche degli indagati ma che, secondo la ricostruzione dei finanzieri, sarebbe superiore ad oltre 600 mila euro. Cifra questa che ora dovrà essere valutata anche dalla Corte dei Conti in un apposito procedimento.