Da garante a battitore libero. Il premier gioca una nuova partita. L’intimazione a Di Maio & C. di fare squadra ha stupito. Ma la rottura con i Cinque Stelle è solo fantasia

Toni piccati e perentori, quelli utilizzati dal premier Giuseppe Conte negli ultimi giorni. Il ruolo da grande mediatore che gli era stato attribuito con enfasi un po’ da ogni parte, sembra essere ormai solo un ricordo. Esasperato dalle continue richieste di aggiustamenti in corso d’opera sulla manovra da parte degli azionisti della maggioranza, il presidente del Consiglio è arrivato a minacciare: “Dobbiamo fare squadra, chi non la pensa così è fuori da governo”.

LA METAMORFOSI. Quella che lui chiama “squadra” è in realtà la maggioranza che lo ha scelto come capo dell’Esecutivo e che lo tiene in piedi, quelli che lui scambia per ultimatum sono proposte e tentativi di conciliare i conti con le promesse ai rispettivi elettorati di riferimento che arrivano da forze che stanno insieme per governare. Particolarmente duro con i 5Stelle, cioè proprio con quelli che lo hanno “scoperto”: “Il piano antievasione non può essere né smantellato ne toccato. Ho iniziato con un M5S che gridava ‘onestà onestà’ e tutte le forze politiche non possono e non devono in alcun modo tirarsi indietro, la manovra è stata approvata, salvo intese tecniche e comunicata a Bruxelles”. Ma il diavolo, si sa, si annida nei dettagli e a Conte forse sfugge che è proprio in quel “salvo intese” che si giocano, se non la partita, le limature che possono fare la differenza.

Sicuramente ad avere più problemi con questa inedita versione di un Conte più primadonna che mediatore neutro è Luigi Di Maio, che dei 5S è il capo politico e che sta accusando il colpo di dover competere con una figura ingombrante come quella che si sta rivelando essere l’ex avvocato del popolo. Sempre più svincolato dal movimento a cui deve gloria e onori, sta giocando una sua personale partita, tentando di costruirsi un profilo politico autonomo e, sebbene ancora non possa contare su un’investitura popolare, può però contare su una serie di rapporti nazionali e internazionali che “contano”: nelle grazie del Colle (Russiagate permettendo…), entrature vaticane, cordialità con i più potenti leader europei – Merkel e Macron – e nella maggioranza particolare sintonia con il ministro all’Economia Roberto Gualtieri con cui ha condiviso la linea nella definizione del Def.

Sembra inoltre aver trovato una sponda anche nell’evergreen Dario Franceschini, che affida a Twitter il suo pensiero: “Un ultimatum al giorno toglie il governo di torno” chiaramente rivolto, manco a dirlo, all’altro destinatario dell’avvertimento di Conte: Matteo Renzi, che al momento però è impegnato soprattutto a tirare bordate al Pd. Nella fattispecie, per quanto riguarda la manovra, il leader di Italia Viva non intende soprassedere su Quota 100 ma dalla Leopolda ha rassicurato che questa legislatura sarà quella destinata ad eleggere il futuro Presidente della Repubblica.

Quando c’è di mezzo l’ex rottamatore fidarsi non è mai una buona idea, fatto sta però, che ad unire il senatore Renzi e il ministro degli Esteri non è solo la comune lotta contro l’abbassamento della soglia del contante, la convergenza al momento è più ampia e ha un obiettivo comune: ridimensionare Conte o forse addirittura destituirlo. Di Maio non ha usato giri di parole: “Senza di noi il governo non esiste. I toni o si fa così o si va a casa fanno del male al Paese e fanno del male al governo: in politica si ascolta la prima forza politica che è il M5S, perché se va a casa il Movimento è difficile che possa esistere ancora una coalizione di governo”.