Per risanare l’economia egiziana si punta sui soldati italiani

Di Massimo Magliaro
da New York

L’Italia era e resta il primo partner commerciale europeo dell’Egitto. La destituzione di Morsi e dei Fratelli musulmani non cambia, se non in meglio, il rapporto privilegiato tra i due Paesi.
Nella terra dei faraoni sono tantissime le aziende italiane che da anni danno posti di lavoro e producono reddito: Fs, Eni, Italcementi, Telecom, Piaggio, Edison, Pirelli, Danieli, Ansaldo energia, Mapei, Marzotto, Cementir, Gemmo, Intesa Sanpaolo. Soprattutto quest’ultima che nel 2006 ha rilevato per 1,6 miliardi di euro l’80 per cento di Bank of Alexandria proprio per finanziare le nostre aziende in Egitto.

Eni lavora in Egitto da poco più di mezzo secolo. Edison é entrata in una joint venture da 3 miliardi di dollari.
Italgen, del Gruppo Pesenti, e Cementir, del Gruppo Caltagirone, sono ormai, e da anni, i colossi del cemento egiziano.
Su un complesso di 45 miliardi di dollari di investimenti esteri attirati dal Cairo tra il 2005 e il 2010, quindi già sotto l’era Mubarak, ben 3,6 miliardi nel 2010 e, in crescendo, 4,5 miliardi nel 2011 erano di provenienza italiana.

Che l’Egitto abbia bisogno di questa nostra presenza non lo dicono soltanto i legami antichi e recenti fra i due Paesi ma lo dice la situazione economica, particolarmente difficile, in cui versa l’economia egiziana. Nel 2012 le riserve valutarie dell’Egitto ammontavano a 35 miliardi di dollari. Un anno dopo sono crollate a 14 miliardi di dollari. Questo disastro è stato reso possibile, malgrado i copiosi aiuti che arrivavano dal Qatar e dall’Arabia saudita, dalla crescita della spesa pubblica corrente di ben il 23 per cento.
C’è stato il tracollo del turismo. Nel 2010 avevano visitato il Paese oltre 14 milioni di persone provenienti da tutto il mondo. Un flusso di danaro straordinario. Nel 2012 erano scesi a poco meno di 10 milioni. In termini economici una mazzata.
Dall’inizio dell’anno in corso, il 2013, la situazione è cominciata a precipitare anche in seguito alle restrizioni predicate e praticate dai Fratelli musulmani sull’abbigliamento femminile, sui criteri di apertura dei locali per turisti. Tutti si ricordano la manifestazione di donne egiziane che aggredirono a colpi di tacchi delle scarpe un ministro che li aveva vietati.
Oggi gli alberghi del Cairo sono occupati solo al 14 per cento della loro capacità.
Insomma un vero e proprio disastro. A risolvere il quale sarà chiamata ancora una volta l’Italia con il suo sistema imprenditoriale collaudato a livello internazionale.