Jake Wood, ex marine statunitense e fondatore di Team Rubicon, si è dimesso dalla guida della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) dopo appena due mesi di incarico. La sua motivazione è un’accusa formale, precisa e pesante: è impossibile attuare il piano di aiuti “rispettando i principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”. Tradotto: la GHF non è un ente umanitario, è un’operazione politica mascherata. Nata a febbraio con l’appoggio esplicito di Israele e Stati Uniti, la GHF doveva distribuire aiuti a Gaza “aggirando Hamas”, ma di fatto ha aggirato anche le agenzie ONU, in primis l’UNRWA, bollata da tempo da Israele come nemica. Il risultato? Un progetto che fin dalla nascita era strutturalmente compromesso: niente indipendenza, niente neutralità. Solo un nuovo braccio armato della geopolitica.
Il peso del contesto
Le dimissioni arrivano mentre a Gaza si consuma una delle peggiori catastrofi umanitarie del nostro tempo: oltre un milione di persone in emergenza alimentare, 470.000 in carestia conclamata. La farina costa il 3000% in più rispetto al pre-conflitto. Più di 53.000 morti e 1,9 milioni di sfollati. In questo scenario, la GHF prometteva “efficienza e sicurezza” nella consegna degli aiuti. In realtà, proponeva quattro soli “siti sicuri” nel sud della Striscia, tutti militarizzati, gestiti da contractor americani, sorvegliati da Israele. Il contrario dell’aiuto: un filtro. Una gabbia.
Una trappola progettata
Wood era stato scelto proprio per la sua esperienza nelle operazioni umanitarie e per la sua reputazione. Il suo nome serviva a costruire la credibilità dell’operazione. Ma non è bastato. Di fronte alla realtà – niente accesso al nord, niente trasparenza sui fondi, sospetti di utilizzo di tecnologie biometriche per il riconoscimento dei beneficiari – Wood ha scelto di non prestarsi. Ha chiesto garanzie, ha provato ad aprire siti anche nel nord. Gli è stato risposto con il silenzio o con minacce implicite. L’ha detto chiaramente: “Non farò parte di nulla che dislochi forzatamente la popolazione palestinese”. Ma era esattamente ciò che la GHF, secondo numerosi osservatori internazionali, stava facendo. O peggio: era progettata per farlo.
La seconda Nakba in formato container
Philippe Lazzarini, commissario dell’Unrwa, ha definito la GHF “uno strumento di sfollamento forzato”, possibile “crimine di guerra”, preludio a “una seconda Nakba”. L’accusa non è isolata. Alex de Waal ha parlato di “umanitarismo di sorveglianza”: aiuti selettivi, distribuiti solo a chi supera lo screening israeliano. La società civile palestinese ha parlato apertamente di “pulizia etnica”. Il Fronte Democratico ha denunciato il piano come funzionale all’espulsione di massa. E in effetti, mentre la GHF nasceva, Netanyahu annunciava che gli aiuti sarebbero stati limitati a “una piccola area sicura nel sud”, mentre il ministro Katz evocava apertamente la “ripulitura” di Gaza.
Un progetto irriformabile
Le dimissioni di Wood sono un gesto tecnico solo in apparenza. In realtà sono una denuncia implicita, ma clamorosa. La sua rinuncia a guidare l’operazione rivela ciò che la diplomazia finge di non vedere: il piano della GHF era – ed è – irredimibile. Non è un incidente di percorso, è un progetto fallito per come è stato concepito. Troppo politicizzato, troppo compromesso, troppo funzionale a una strategia militare. E soprattutto: troppo lontano dai principi dell’aiuto umanitario.
Ipocrisia in uniforme
Il board della GHF ha risposto con parole sprezzanti: ha accusato “chi difende lo status quo” di boicottare “soluzioni creative”. Ha ribadito che i camion partiranno comunque. Ma non ha detto nulla sulle critiche di principio. Non ha fornito una sola garanzia di indipendenza. Non ha nemmeno aperto un’inchiesta interna. Ecco la verità: senza Wood, la GHF è rimasta nuda, senza la foglia di fico che doveva coprire l’inganno. Ora è solo un contenitore di potere geopolitico travestito da aiuto. E le successive dimissioni del capo delle operazioni, David Burke, sono lì a dimostrarlo.
Domande che restano
Se un’organizzazione costruita con appoggi così potenti – Israele, Stati Uniti, capitali privati – e guidata da un professionista esperto come Jake Wood, implode in due mesi, è legittimo chiedersi quanto fosse davvero “umanitaria” fin dall’inizio. E se l’operazione serviva più a spostare i palestinesi che a sfamarli. Se i “cluster di distribuzione” erano in realtà zone di concentramento. Se il controllo degli aiuti era solo un’altra forma di controllo della popolazione. La GHF doveva essere l’alternativa all’Onu. È diventata l’alternativa all’umanità. E le dimissioni di Wood lo hanno sancito nero su bianco.